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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Zelo in condotta

di Stefano Capello

 

“Educare” è verbo di strappi: portare-fuori, perlustrare, prendere per mano, estrarre-da-sotto. È il verbo dello scultore, il mestiere del minatore, la passione d’artista: una sorta di liberazione da qualcosa che intrappola, da una sorta di prigionia: l’educazione è questione di zelo in quanto fervida attitudine nel servire ed attendere ai propri doveri. Mentre lo si declina, “Io educo, tu educhi, noi educhiamo, è forte il sospetto che “educare” sia pure verbo di umiltà: tirare-fuori è l’opposto di mettere-dentro.

Tirare fuori è libertà, metter dentro è repressione. Il primo suppone un’altissima percentuale di stupore: la statua è lì, nel marmo. Lo scultore è l’educatore che, estraendola, la libera dall’invisibilità: ci toglie il superfluo, fa brillare il necessario.

Lo zelo dello scultore è lo zelo dell’educatore perché si prende il rischio della libertà e gioca il suo ruolo non sull’autoritarismo bensì sull’autorevolezza. Il secondo tradisce la smania di chi ha il vizietto di imporre: di fare dell’autoritarismo la sua bandiera, del manganello il suo scalpello. Educare è un’arte, tra le più alte sotto il cielo: una faccenda del cuore, una sorta di fidanzamento, di cammino insieme.

L’educazione è un percorso sinodale. Sinodo nell’antica Grecia indicava il percorrere un cammino insieme (sun-con, insieme e dos-via).

Perché il camminare insieme è sfumatura che ci ripara dall’insuccesso, mentre educo, mi educo: educare è venire educati, insegnare è apprendere. Il guadagno dell’arte di educare lo leggo nelle gesta di chi educo: lo avverto, però anche, nel cambiamento che produce in me. “È un educatore educato”: doppia-sfida.

La scuola è sicuramente uno dei luoghi privilegiati di questo percorso educativo, tuttavia non è pensabile lavorare a scompartimenti stagni ed in modalità decontestualizzate.

In questo senso l’educazione deve ricostruirsi in ottica sinodale, perché i ragazzi che sono nei banchi al mattino, al pomeriggio ed alla sera vivono il loro processo formativo fuori dalla scuola e vivono nel loro tempo, che quasi mai coincide con quello della scuola.

Questo divario tra la vita scolastica e la vita dei ragazzi deve essere colmato non certo con i divieti o peggio con la repressione, ma con la cultura e l’accompagnamento. La scuola ha bisogno di zelo da parte di chi la scuola la fa, ma anche da parte di chi la scuola la governa e la progetta.

La scuola, che è il luogo dove la società educa i suoi figli, non può essere governata con slogan o migliorata da semplici restyling linguistici, ma deve essere oggetto di un progetto a lungo termine che abbia una linea educativa chiara e motivata.

Dobbiamo cercare di impegnarci tutti prima che il Presidente Mattarella ci dia un altro zero in condotta, (a noi educatori non agli alunni), per mancanza di zelo.

 

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