L'Editoriale della domenica. L'Europa di von der Leyen ai nastri di partenza
- Luca Jahier
- 22 set 2024
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di Luca Jahier

Dopo settimane di tensioni, alzate di scudi di gruppi politici del Parlamento europeo, dimissioni rumorose di un peso massimo della Commissione uscente e candidato forte per la nuova (Thierry Breton), negoziati sul filo di lana con diverse capitali, Ursula von der Leyen ha presentato il nuovo collegio dei Commissari: sei vicepresidente esecutivi e 20 commissari semplici. Non mancano gli elementi di grande interesse, conferme di quanto ci si attendeva, ma anche aspetti da chiarire e in ogni caso un punto fermo. La Presidente von der Leyen ha dimostrato le sue straordinarie capacità di navigare in una negoziazione piena di insidie, in un quadro politico complesso, alla fine ottenendo i risultati che voleva e rafforzando notevolmente il suo potere di accentramento nella Commissione europea.
Sciolti due nodi semplici, semplici...
Primo quello di genere. Aveva chiesto ai governi di indicarle due nomi, salvo per gli uscenti, per raggiungere la parità di genere nel collegio. La risposta avuta dai governi è stata deludente: solo il 22% dei nomi fatti in prima battuta erano donne (5 oltre a lei). Una sconfitta plateale, di cui avrebbe pagato il prezzo di fronte al Parlamento. Con abilità è riuscita ad ottenere da diversi governi (salvo da Malta) un cambio di nomi ed ha portato il bilancio finale al 40% (11 donne sui 27 componenti il collegio), premiandone diverse con incarichi di rilievo. E si è spinta oltre: nell'assegnazione dei 6 Vicepresidenti esecutivi 4 sono donne (una era già comunque designata, l'alto Rappresentante Kallas).
In secondo luogo, il bilanciamento politico. Certo vi era la forte richiesta di 3 dei gruppi parlamentari che le hanno votato la fiducia a luglio di rispettare la maggioranza parlamentare che l'ha votata e che sollecitava di escludeva partiti come l'ECR (Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei). Ma sono i governi che indicano i Commissari e 15 di questi sono del PPE (Partito popolare Europeo) più due che appartengono a partiti alla sua destra, mentre i socialisti e i liberali sono solo 5 ciascuno. Insomma, un bel rebus, che la von der Leyen ha risolto con grande abilità: due vice esecutive socialiste (la spagnola e la rumena, con portafogli peraltro di rilievo per le priorità dei socialisti, anche se sulla denominazione del portafoglio sociale ci sono già non poche e comprensibili polemiche), due liberali (oltre alla Kallas il francese) una popolare finlandese con un portafoglio strategico (sovranità tecnologica, associata a sicurezza e democrazia) e una al Ministro Raffaele Fitto, già Presidente del gruppo ECR in Parlamento.
Il "portafoglio" di Fitto
Roma recupera ciò che già aveva in passato: dopo la Presidenza Prodi, tre successivi vicepresidenti, Frattini, poi Tajani e poi Mogherini, Alto Rappresentante. Il portafoglio di Fitto è di fatto quello della uscente Ferreira (coesione, con 400 miliardi da spendere e riforme), che si completa con la prospettiva di pilotare la complessa preparazione del prossimo periodo della coesione e della sua attesa riforma, cui si aggiunge il monitoraggio dei Programmi nazionali di ripresa e resilienza, che condivide però con il successore di Paolo Gentiloni, Valdis Dombrowskis. Nel mandato di entrambi è ben specificata la stessa formulazione e la scadenza tassativa del 2026 su cui vigilare. Con due Vicepresidenti eletti in Parlamento a luglio provenienti da ECR, la von der Leyen non poteva certo non dare una Vicepresidenza ad uno dei grandi paesi fondatori, che però non vede estendere il suo ruolo molto al di là del perimetro della Commissaria uscente e non avrà poteri diretti su altre deleghe economiche cruciali: bilancio, affari economici e fiscali, mercato interno e concorrenza. Nominalmente avrà come VP esecutivo anche il coordinamento di altri commissari "semplici", ma come vedremo questo è un tema tutto da capire.
Certamente è una Commissione a forte trazione conservatrice, ma del resto era scritto, sia per l'esito delle elezioni europee, che per la situazione politica, peraltro in continua evoluzione, di molti paesi europei. Ma certo è stato perlomeno sgraziata la dichiarazione del Presidente del gruppo Weber "questa è la Commissione del PPE". Non facilita il compito della Presidente von der Leyen, tantomeno la dinamica delle audizioni di conferma dei singoli Commissari nelle Commissioni parlamentari. Come si sa nello screening parlamentare in passato sono caduti diversi candidati, anche inattesi e di peso, e in ogni caso essi devono ottenere il voto positivo dei due terzi della commissione competente.

Alcune considerazioni più puntuali
Molti osservatori hanno sottolineato che con questa struttura del collegio, la Presidente von der Leyen parte come sovrano assoluto della nuova Commissione, chiarendo inoltre che tutti i commissari sono uguali e condividono le responsabilità delle scelte del collegio, sembra anche volere sminuire il potere effettivo del supposto ruolo di coordinamento nominalmente affidato per aree specifiche ai Vicepresidenti. Una frase contenuta in tutte le lettere di missione dei commissari è illustrativa: “Lavorerai sotto la mia guida su tutti i temi sopra menzionati”, ha scritto la presidente. Più chiaro di cosi: il successo della Commissione Ursula2 dipenderà dunque da von der Leyen.
Tre Commissari “semplici” risultano poi particolarmente significativi, per i loro poteri e per il fatto che sono chiamati a riferire direttamente alla Presidente: il socialista slovacco Maroš Šefčovič, al suo quinto mandato e certamente più allineato nella Commissione che con il suo partito o paese (come peraltro deve essere secondo il Trattato), in carico del Commercio e sicurezza economica, più Relazioni interistituzionali e Trasparenza; il popolare Dombrowskis, al suo terzo mandato, che eredita il portafoglio di Gentiloni degli affari economici e diventa il vero guardiano della implementazione del riformato Patto di stabilità, dove non farà certo sconti a nessuno sull’andamento delle dinamiche del debito e del deficit, cui si aggiungono le deleghe della implementazione e della semplificazione della legislazione EU. Infine, il popolare e potente Commissario al bilancio Serafin, stretto collaboratore del premier polacco Tusk, cui toccherà l'arduo compito di preparare e negoziare il prossimo quadro di bilancio pluriannuale, incluso affrontare e sciogliere il nodo cruciale di come ampliare il quadro delle risorse europee e con quali strumenti. Probabilmente essi, più dei 6 vice, saranno la vera cintura di trasmissione della Presidente della Commissione europea e la sua guardia pretoriana.
Ad essi si aggiunge la grande vincitrice di questa partita, la socialista spagnola Ribeira, Vicepresidente, che non solo eredita il pesante portafoglio che fu della Vestager, la Concorrenza, per il quale ha già annunciato importanti cambiamenti secondo la linea del Rapporto Draghi, ma anche nuove e importanti competenze in merito alla transizione verde e giusta e quindi una linea traente delle priorità dell'UE, pur se in questo contornata da diversi commissari di area popolare, tra cui l'olandese Hoekstra, già ministro delle finanze e non certo una colomba a quei tempi. A quest’ultimo peraltro è affidata anche la delega alla fiscalità europea…, che suscita qualche interrogativo, ricordando che da ministro delle finanze olandese era uno strenuo difensore dei paradisi fiscali e della non armonizzazione fiscale in seno all’Unione.
I Paesi sconfitti...
Tra i grandi perdenti si aggiudica il primo posto certamente la Francia: pur rilevando il portafoglio dell'uscente Breton (le politiche industriali e il mercato interno, che sono una evidente priorità), il Vicepresidente Sejourné ha competenze di fatto ridotte, visto il nuovo commissario lituano alla difesa e allo spazio e il ruolo certo non secondario della Vicepresidente popolare Virkunnen, in carico della sovranità tecnologica, che in potenza dovrà uno sviluppo enorme, soprattutto nel campo del digitale.
Una menzione poi merita la designazione agli Affari interni e migrazioni dell'austriaco Brunner, che non si è mai dimostrato attento alle istanze dei paesi di primo ingresso. Come anche della croata Suica al nuovo portafoglio del Mediterraneo, che frantuma ulteriormente le competenze nelle politiche esterne e di vicinato e potrebbe ridursi principalmente alla gestione degli accordi di contrasto e rimpatrio dell’immigrazione, non essendo chiaro quale influenza avrà sul ricco portafoglio della cooperazione esterna.
Insomma, alcuni spunti tra i molti altri che si potrebbero sottolineare, compresa l’assenza di ogni riferimento all’economia sociale, da 15 anni politica in crescita a Bruxelles e che nel corso dell’ultima legislatura ha visto conquiste di grande rilievo che ora dovrebbero essere implementate.
Nel leggere le diverse lettere di missione ai singoli commissari si evidenzia inoltre un forte problema di sovrapposizione di competenze, che significa anche afferenza di più commissari ad alcune stesse Direzioni Generali della CE, che sono il cuore della macchina operativa della Commissione. In diversi casi si tratta di portafogli ampi che toccano diversi ambiti politici, una mossa deliberata per sbarazzarsi dei "rigidi tubi" e creare una struttura più "interattiva e interconnessa", ma forse anche un “divide et impera” della Presidente. La logica dovrebbe essere la cooperazione, chiaramente evocata nelle lettere di incarico, ma per la pratica si vedrà.
Alcuni commissari e/o Vicepresidenti partono più forti e assai profilati sulla carta, ma come dice la lunga esperienza della Commissione, i portafogli si fanno, non si ricevono e così, malgrado quanto indicato nelle lettere di incarico, chi i Vicepresidenti esecutivi coordinino effettivamente e in cosa consista tale coordinamento è tutto da verificare. Del resto questa logica era già nella precedente Commissione, anche se più articolata e per fortuna dismessa, ma a me risulta che l'unico vero coordinamento che abbia funzionato sia stato quello di Timmermans incaricato del Green Deal, più per la sua forte personalità, determinazione e esperienza già maturata nei gangli della Commissione ed anche con una decisa autonomia rispetto alla von der Leyen, che talora è stata anche fin troppo visibile. Per contro basta vedere il rapporto tra Gentiloni e Dombrowskis, che è stato più di costruttiva e solida cooperazione, che ha dato peraltro buoni frutti, che di subordinazione al coordinamento del VP esecutivo di allora.
Infine, nel nuovo collegio si contano solo due ex primi ministri e un numero limitato di personalità con precedenti esperienze di governo. L'incarico a diverse figure emergenti della politica nazionale potrà forse portare aria fresca e nuove prospettive al lavoro del collegio, ma potrebbe anche limitare di molto l'efficacia concreta della Commissione, nella navigazione della complessità delle politiche europee e soprattutto del non facile negoziato su ogni materia con le diverse capitali.
In attesa delle audizioni parlamentari
Ora si attende la calendarizzazione delle audizioni parlamentari che potrebbero questa volta essere anche più complesse del passato e riservare qualche sorpresa in più, non solo in termini di aggiustamento e chiarificazione delle deleghe delle lettere di incarico, ma anche di sostituzione di qualcuno dei designati, come del resto già avvenuto nei cicli passati. E questo potrebbe ritardare anche oltre il 1° dicembre l'entrata in funzione della nuova Commissione. Con un impatto non secondario sull'avvio nel merito della nuova legislatura, non solo di fronte alle scadenze più immediate (l’esame e l’accordo sui piani strutturali di bilancio che i singoli paesi devono vedere approvati entro la metà di novembre da Bruxelles per poter concludere le proprie leggi di bilancio), ma anche delle grandi sfide interne ed esterne che sono in campo, tra queste quelle ben sviluppate nel recente Rapporto Draghi. Assieme al Rapporto Letta sul Mercato interni e due altri Rapporti sul futuro dell’Agricoltura europea e sul rafforzamento della preparazione civile e militare della sicurezza europea, è il frame trasversale di tutte le lettere di incarico dei 6 Vicepresidenti e dei Commissari.
Ma qui conta la sostanza, o l’Unione europea si sveglia sul serio, cambia rotta in materia di tecnologia, energia, difesa, ricerca e innovazione, con i connessi piani di consistente integrazione industriale, fiscale, finanziaria e anche istituzionale, o collassa. Questa linea traspare dalle lettere di incarico, ma il quadro politico delle capitali europee sembra andare altrove, come dimostra la grave e improvvida decisione della Germania di chiusura delle frontiere e sospensione della libera circolazione di Schengen, in funzione anti-immigrati…
Saprà il nuovo collegio innestare la sesta su ciò che è necessario e il Parlamento europeo essere compatto nella stessa direzione? Cominceremo a vederlo già nelle prossime settimane, nelle audizioni parlamentari, e poi nei primi atti della Commissione, non appena insediata.
*Già Presidente del CESE (2018-2020)
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