L'EDITORIALE DELLA DOMENICA
Francia alle urne: un rompicapo anche per l'Europa
di Luca Jahier
La campagna elettorale si è ormai chiusa da 24 ore e oggi la Francia torna alle urne per l’elezione dei 577 membri del Parlamento d’Oltralpe. Ad una settimana dai risultati del primo turno è davvero successo di tutto e le ipotesi sul dopo hanno continuato a modificarsi e rimbalzare in ogni direzione, ma almeno un dato sembra ormai prevalere: sarà quantomai complicato per il RN di Marine Le Pen avere l’attesa maggioranza assoluta dei deputati, malgrado il soccorso dell’ormai emarginato presidente dei Repubblicani Ciotti, che ha certamente perso il suo azzardatissimo poker personale. Per tutto il resto, e soprattutto guardando al dopo, si resta su un ottovolante pazzesco ed un grande e forse definitivo stravolgimento della V Repubblica.
Ma cerchiamo di andare con ordine.
Il primo turno del 30 giugno ha stabilito i rapporti di forza, dopo l’azzardo deciso dal Presidente Macron la sera dei risultati delle europee, che lo avevano visto pesantemente sconfitto di fronte all’ascesa travolgente di Marine Le Pen e del giovane leader Bardella.
Il Rassemblement National con i suoi 9,5 milioni di voti è il primo partito, con l’aiuto dell’oltre milione di voti repubblicani che hanno seguito la fronda del scissionista Eric Ciotti, consegnano il risultato migliore di sempre all’estrema destra francese (33%) e più che raddoppiando il risultato delle legislative del 2022. In quasi 450 circoscrizioni su 577 RN va al secondo turno e nella metà con un candidato di testa e peraltro con 180 che hanno superato il 40% dei voti. Una premessa di una valanga confermativa al secondo turno e di una possibile maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale.
Il campo presidenziale nel suo complesso (Ensemble) ha rimontato dai risultati di Macron alle Europee di 3 settimane prima (14,6%), ma si è fermato al 21%, risultando terzo nella forte polarizzazione elettorale. I suoi candidati si qualificano in poco più di 300 circoscrizioni e solo in 68 circoscrizioni sono al primo posto, peraltro in gran parte nell’area della capitale e di alcune grandi città, evidenziando la dimensione della sconfitta politica macroniana e con una grande fronda già partita di molti esponenti di primo piano, tra cui molti ministri, della fu maggioranza presidenziale.
I Repubblicani dell’antica tradizione gollista escono fortemente marginali da queste elezioni, con solo il 6,6%, in discesa di oltre un punto dalle elezioni europee, anche per la fronda di Ciotti. Ma i loro deputati potrebbero tornare quantomai utili nelle prossime manovre parlamentari.
Importante, anche se non da sovrastimare, il risultato del Nuovo Fronte Popolare (NFP) costruito in gran fretta come alleanza anti Macron e anti Le Pen, dalla confluenza di diverse forze sotto la leadership traente del rinato Partito Socialista condotto dal leader di Place Publique Glucksmann, che si è affermato con le elezioni europee (14%) e che ha molte posizioni riformiste, e della France Insoumise di Melenchon, non scevra da pesanti ipoteche estremiste e antisemite. Rimane, con il 28% dei voti, una importante seconda posizione, oltre tre milioni di voti in più rispetto al 2022, soprattutto grazie alla straordinaria mobilitazione del voto giovanile e urbano. Ma come si diceva più una alleanza elettorale di necessità che programmatica. Peraltro favorita dall’astro nascente Marine Tondellier, giovane leader dei verdi, che ha avuto un ruolo non secondario sia nel fare da ponte tra Glucksman e Melenchon, sia nella spinta verso gli accordi di desistenza poi raggiunti.
L'impressionante numero di desistenze
E veniamo al secondo passaggio, dove in meno di 48 ore si è palesato una sorta di nuovo fronte repubblicano per il secondo turno, quale non si era mai visto in elezioni legislative.
Infatti, accanto ai circa 80 deputati eletti al primo turno, in base ai candidati che hanno superato la soglia di sbarramento del 12,5% al primo turno, si prospettavano 306 triangolari, 5 quadrangolari e 190 scontri tra due candidati. Il NFP ha immediatamente preso posizione per il ritiro di tutti i propri candidati in terza posizione, seguita poi dall’Eliseo per il ritiro dei propri, salvo nei collegi dove questo andasse a favore della France Insoumise. In questo, seguito anche dalle dichiarazioni di molti leader dei repubblicani. Il risultato è stato che l’NFP ha ritirato 129 candidati e la maggioranza macroniana 81, e in una ventina di circoscrizioni i candidati dei repubblicani possono godere della desistenza del NFP o dei macroniani, restando però ancora poco meno di un terzo di situazioni in cui non c’è nessun accordo di desistenza, per molte ragioni. Questo oggi, 7 luglio, in 160 collegi, lo scontro è dunque RN-NFP e in 150 RN- Ensemble.
Il numero di desistenze è davvero impressionante e dimostra una forte convergenza delle leadership politiche non di estrema destra. Tuttavia resta il grande interrogativo di quanti elettori, che hanno espresso un duro voto di protesta antimacroniano seguiranno le indicazioni e voteranno un candidato del centro presidenziale o addirittura repubblicano e, viceversa, quanti del centro liberale voteranno per candidati di sinistra, soprattutto quando questi non provengano dalla componente socialista riformista. Secondo alcuni analisti, e tra questi l’ottimo e giovane Gilles Gressani, direttore de Le Grand Continent, complice anche il prevedibile minor afflusso alle urne, può essere possibile che il 50% degli elettori di sinistra non accettino di votare un candidato moderato e che questo mandi all’aria lo sbarramento e apra le porte ad una forte maggioranza di Le Pen.
Sulla base tuttavia del quadro delle desistenze raggiunte, l’ultimo sondaggio Ifop/Le Figaro (che non è certo orientato a sinistra) prevede i seguenti possibili risultati per il prossimo parlamento: RN 210-240 seggi, Repubblicani 25-40, Ensemble 95-125, NFP 170-200. Mentre l’ultimo sondaggio Ipsos/Le Monde dice: RN 175-205 seggi, Repubblicani 57-67, Ensemble 118-148, NFP 145-175. Dunque un quadro che sembra escludere una maggioranza di estrema destra; sulla carta potrebbe contemplare una maggioranza Ensemble – NFP, ma si tratta di numeri e non di maggioranza politica possibile: del resto, Macron e Gabriel Attal hanno escluso ogni cooperazione con la France Insoumise.
In via del tutto teorica e salve le molte variabili e incognite di un tale ottovolante, si potrebbero dunque azzardare tre scenari per il dopo voto. Un ritorno teorico a quella che molti avevano accreditato come il vero obiettivo di Macron nella chiamata così urgente alle urne: un governo Bardella, sostenuto dai Repubblicani e parte di Ensemble, per logorare il RN nei prossimi anni e tagliargli le gambe per le presidenziali del 2027. Una pessima notizia per la Francia e per l’Europa tutta. Oppure, un governo a trazione NFP, qualora i risultati di quest’ultimo fossero molto alti, con forme di sostegno del centro macroniano, ipotesi sognata dalle sinistre, ma che vedo anch’essa ai limiti dell’impossibile: è incerto come sarebbe risolta la questione della leadership in seno al NFP e soprattutto darebbe campo libero alle destre e ampli fronti moderati a costruire altro per il 2027. Infine, una ipotesi poco francese diciamo, che qualcuno chiama "governo tecnico all’italiana", con una figura di spicco su cui fare convergere macroniani, repubblicani, socialisti e appoggio esterno di altre componenti del NFP. Insomma una sorta di “maggioranza Ursula nel Parlamento europeo”. Da non perdere di vista poi la soluzione outsider, e cioè la figura della giovane leader verde Tondelier, che in poche settimane si è imposta nel dibattito pubblico, anche per il risultato degli accordi di desistenza, inizialmente osteggiati da molti leader macroniani, tra cui lo stesso ministro Le Maire. Chi lo sa, potrebbe essere la vera sorpresa delle prossime ore….
Due brevi considerazioni finali
Qualunque sia lo scenario del giorno dopo, ed ovviamente non si equivalgono, la leadership di Macron ne risulta oramai fortemente indebolita, anche qualora dovesse conseguire il risultato tattico di evitare il peggio. L’intero sistema politico continuerà a rimanere in fibrillazione strutturale fino alle elezioni presidenziali del 2027, con la crescita sia della destra che della sinistra, per ora questa senza una chiara configurazione programmatica e di leadership. Una situazione drammatica per la Francia, anche perché non coerente con il quadro istituzionale della Quinta Repubblica e della sua forma originale di “monarchia presidenziale repubblicana”, ma anche e soprattutto di fronte alle prossime scadenze, non ultima la legge di bilancio e la procedura di deficit eccessivo che la Commissione europea ha annunciato di aprire e formalizzerà a metà luglio nei confronti di 7 paesi, tra cui la Francia. E non solo i programmi della destra e della sinistra sono incompatibili con le esigenze di contenimento del deficit, ma questo sarà anche assai difficile per un governo di larga coalizione.
E tutto ciò è ancora una ulteriore pessima notizia per l’Europa tutta. Un indebolimento del motore franco-tedesco è ormai sotto gli occhi di tutti e questo ulteriore e prolungato ottovolante francese renderà quantomai complicato trovare dei centri di stabilizzazione e di spinta nel complesso quadro europeo che stiamo vivendo, in particolare a livello di Consiglio europeo. Non è certo un aiuto per l’avvio di questa legislatura, di fronte alle tante sfide esterne, non ultime la guerra in Ucraina, il Medio Oriente, la sfida cinese e i risultati delle elezioni USA di novembre.
Mi pare certo che la spinta per i nuovi e necessari investimenti comuni, qualunque essi siano, cosi come anche per pur limitate riforme istituzionali dell’assetto europeo, rischia di evaporare del tutto.
Insomma, siamo su un ottovolante pazzesco e non ci resta che attrezzarci per non cadere rovinosamente, lavorare per non farlo diventare ancora più pericoloso ed esplosivo, facendo così un immenso favore a chi non aspetta altro, e cercare con cocciuta creatività le vie di assestamento dentro una logica di progetto che guardi al futuro e alle tante sfide economiche, sociali e geopolitiche che sono il carburante di questa crisi sistemica delle nostre democrazie .
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