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L’addio dell’ultimo yankee all’Afghanistan

Il generale Christopher T. Donahue, comandante delle truppe americane in Afghanistan, è l’ultimo soldato stelle a strisce ad abbandonare il suolo afghano, dopo venti anni di presenza militare dell’Occidente in quel paese dell’Asia centrale. I talebani ora possono imporre il loro potere anche in quello che è il luogo simbolo della speranza per migliaia di afghani in fuga, l’aeroporto di Kabul. Il presidio costituito dalla 313a Brigata Badri talebana è ad un tempo forma e sostanza. Gli studenti coranici esultano. E hanno più di una ragione, non soltanto perché ora sono loro i padroni del campo: gli americani si sono “congedati” con un ulteriore e pesante fardello di morti tra la popolazione civile, in parte bambini, effetto “collaterale” del drone che ha neutralizzato un’autobomba a Kabul domenica scorsa. Superfluo aggiungere che l’autobomba dovesse provocare comunque morti e feriti tra i civili, i più martoriati da sempre in ogni situazione conflittuale. Un gioco delle parti crudele e cinico di cui nessuno sarà chiamato a rendere conto né oggi, né in futuro. Per i più deboli non c’è giustizia. Il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha dichiarato che l’uscita di scena degli americani “è una vittoria per il popolo afghano”, ottenuta senza la necessità di sparare un solo colpo. Un’affermazione di facciata: le immagini delle due ultime settimane raccontano un’altra verità, un compendio di violenza, prepotenza e arbitrio.

Da oggi l’Afganistan ritorna ad essere governata dalla Shari’a, la legge di Dio, il sentiero o la retta via, una serie di regole la cui applicazione può diventare estremamente variabile e dunque utilizzata strumentalmente per imporre una forma di radicalismo religioso con cui legittimare il proprio potere. Esattamente come è accaduto in passato, quando alla fine del Novecento e fino al 2001 i talebani esercitarono il potere in modo coercitivo e repressivo su donne e bambini e su ogni forma di dissenso politico e libertà individuale. Il 31 agosto 2021 sarà ricordato da milioni di afghani come il triste passato che ritorna mescolato alla cinica propaganda dei nuovi vecchi padroni. Una propaganda che si nutre di espressioni di tolleranza. Il modo migliore per narcotizzare la mentalità divisiva di un popolo tribale che da secoli vive con fatalismo il ritorno di ombre e di paure.

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