IL RACCONTO. Il portiere d’albergo che si fece campanaro, prima di diventare Stalin
- Marco Travaglini
- 18 nov 2024
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di Marco Travaglini

Ci sono avvenimenti storici che sembrano così incredibili da essere considerati leggende. Una di queste mi venne raccontata ad Ancona durante l’attesa per l’imbarco verso Spalato, dall’altra parte dell’Adriatico per un viaggio nei Balcani occidentali. La storia si svolse proprio lì, accanto al porto Vecchio e fu raccontata, molti anni dopo i fatti, da un anziano portiere dell’Hotel Roma e Pace, il signor Pallotta. Dalle finestre di quell’albergo a due passi dai moli, ormai chiuso da anni, si scorgeva il mare. La pubblicità che ne decantava l’ospitalità all’inizio del secolo breve narrava proposte di “riscaldamento a termo-sifone senza aumento di prezzo, ottimo restaurant e servizio di omnibus a tutte le ore”. Fu lì che, in una fredda giornata d’inverno del 1907, un giovane russo piuttosto tarchiato e leggermente claudicante, dagli abiti eccentrici e dallo sguardo glaciale, entrò nella hall dell’austero Roma e Pace.
Indossava una blusa russa di satin nero sotto la giacca, grigia come il logoro soprabito; gli unici segni di eleganza erano la vistosa sciarpa rossa di seta e un ampio cappello di feltro nero. Non sapeva parlare l’italiano, ma conosceva l’inglese, il russo, il georgiano e l’armeno.

Un amico italiano lo aveva accompagnato in via Leopardi dopo un viaggio lungo e scomodo a bordo di una nave carica di grano proveniente da Odessa. Il giovane russo cercava lavoro e era disposto a fare il portiere di notte. Il suo nome era Joseph Vissarionovich Djugashvili. Per gli amici, Koba.
Solo alcuni anni più tardi tutto il mondo lo conobbe con un altro nome. La storia dice quel giovane sulla trentina fosse già ricercato per estorsione e rapina in Georgia. Qualche mese prima, a Tbilisi, una carrozza scortata da molti cosacchi a cavalli venne assalita in piazza Yerevan a scopo di rapina. Il colpo, per il quale venne usata la dinamite, provocando una strage, fruttò 250 mila rubli (più di 2.300.000 di euro di oggi) destinati alla Banca Statale dell’Impero Russo. E Koba era senz’altro coinvolto in quella vicenda. Pallotta, portiere di giorno al Roma e Pace, non era molto convinto di assumere quel giovane dall’aspetto dimesso, la barba rada e i baffi neri. E forse non si sbagliava.
Joseph Vissarionovich Djugashvili era un ragazzo troppo timido e poco intraprendente. Rimase poche settimane, pare non più di tre, prima di essere congedato e riprendere il suo viaggio verso Venezia dove svolse la mansione, anche in quel caso per un breve periodo, di campanaro al convento di San Lazzaro degli Armeni sull’omonimo isolotto nella laguna (nella foto in basso). Un’esperienza fugace e non molto apprezzata perché suonava le campane con decisione e forti rintocchi secondo il rito ortodosso, e questo non andava a genio agli abati mechitaristi. Una storia strana e intrigante di cui si trova traccia anche nelle tavole di Corto Maltese, il personaggio dei fumetti creato dal Hugo Pratt.

Nel volume La casa dorata di Samarcanda, lungo la mitica Via della Seta il marinaio Corto – figlio di una prostituta di Gibilterra e di un marinaio della Cornovaglia – impegnato nella ricerca del tesoro di Alessandro il Grande caduto in mano ai bolscevichi della città dalle cupole blu, si salva da un’esecuzione grazie a una telefonata con quel “portiere di notte”, rammentandogli i tempi di Ancona.

Corto Maltese, scavando nei ricordi di quel 1907, gli disse che evidentemente non era “tagliato per fare il portiere di notte”. Chi era allora il giovane russo con cui si era incontrato nel vecchio porto della città marchigiana? Il mistero si svela subito scoprendo che il russo, anzi georgiano, dallo sguardo glaciale si chiamava Josif Stalin.
Il punto di congiunzione tra leggenda, storia e immaginazione venne offerto da un volume di Raffaele Salinari intitolato “Stalin in Italia ovvero Bepi del giasso” (un modo di dire che segnalava il carattere freddo e determinato di quel Giuseppe), pubblicato a Bologna nel 2010, ma rimasto tagliato fuori dai circuiti di distribuzione nazionali e forse per questo poco conosciuto. Medico e docente universitario, Salinari ricostruì un pezzo di storia italiana (e russa) della quale si è sempre saputo ben poco. Secondo le informazioni che raccolse, Stalin si sarebbe imbarcato in seguito a quella rapina ai danni dei portavalori zaristi. Per finanziare l’ala bolscevica del partito socialdemocratico operaio russo, Josif/Koba si era dedicato agli assalti alle diligenze malgrado la pratica fosse stata disapprovata dalla dirigenza interna.

Così Stalin, in fuga, passò da Ancona e Venezia per raggiungere la Svizzera dove Lenin era in esilio e si mantenne come poteva. Del suo arrivo nel capoluogo marchigiano resterebbero due testimonianze: un articolo sul Candido di Giovannino Guareschi del 22 dicembre 1957 e una lapide commemorativa nell’albergo (il Roma e Pace, appunto) i cui arredi dopo la chiusura vennero acquistati da un anonimo collezionista, lapide inclusa.
Nelle camere ormai vuote di quel vecchio albergo soggiornarono altri personaggi importanti da Luchino Visconti ai membri di Casa Savoia. Le stesse stanze accolsero anche Benito Mussolini con l’amante Angelica Balabanoff, ebrea ucraina che diventò tra il 1919 e il 1920 segretaria della Terza Internazionale ai tempi di Lenin e Trotsky.
Dietro alle serrande abbassate e alle imposte chiuse pare proprio che il Roma e Pace conservi storie e misteri che aleggiando ancora nell’aria polverosa. Che siano vere o presunte poco importa perché in tempi dove tutto è a portata di smartphone sono proprio le leggende e le suggestioni a restituirci il piacere dell’immaginazione. E poi, diciamolo, naturalmente con un filo di ironia, il pericolo (o l'augurio) è passato e nessuno trema (o spera) più davanti al minaccioso motto “adda venì Baffone”.
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