Casa, bisogno primario: una proposta di politica pubblica
- Igor Piotto
- 2 mar
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Aggiornamento: 2 mar
di Igor Piotto

Giovedì scorso, 27 febbraio, si è svolta la presentazione del Piano dell’abitare per lo sviluppo di Torino. Si tratta di una proposta di delibera dedicata ai temi della casa elaborata dal gruppo Pd del Comune. Si potrebbe definire una “delibera-quadro”. Contiene le caratteristiche di una politica pubblica. Parte da uno studio dello spazio abitativo (risorse pubbliche non utilizzate, domanda di immobili, disponibilità della proprietà immobiliare privata), da cui discende la ricostruzione dei bisogni abitativi (soggetti in grave difficoltà, lavoro povero, popolazione migrante). Queste sono le coordinate di una mappa sociale (quindi analisi e studio di una complessità che richiede l’interazione di diverse fonti di dati) su cui si innesta una proposta di politica pubblica che vede la compresenza di almeno tre dimensioni di intervento: indirizzo urbanistico (quindi il PRG), servizi sociali e politiche sociali.
Casa, oltre l'assistenzialismo
A fronte di problemi differenziati (con bisogni e risorse distinte) l’intervento assume una visione di insieme, quindi: 1) rafforzamento dell’agenzia pubblica di intermediazione (Locare) e sperimentazione di nuove forme di accompagnamento abitativo, 2) attivazione di sistemi premiali e sanzionatori per favorire la riattivazione di immobili privati non utilizzati (o con affitto irregolare), 3) moratoria di alienazione degli immobili di Edilizia residenziale pubblica, 4) piano “azzera vuoti” per gli immobili di proprietà comunale, 5) sperimentazione, in base alle potenzialità della l. 381/98 di una regolazione contrattuali che favorisca l’accesso alla casa degli studenti, 6) estendere l’esperienza del social-housing. Attualmente sono in crescita residenze universitarie le cui tariffe proibitive per un posto letto mettono radicalmente in discussione il diritto allo studio.
L’impostazione di questa politica pubblica contiene elementi di intervento che guardano al tema della casa secondo una logica che supera alcuni limiti tradizionali: non è una visione allocativa – il problema non è l’accesso ad un immobile, ma l’accesso ad una condizione abitativa, con supporti e servizi correlati. Non è una visione assistenziale, l’accesso alla casa è anche un vettore di affrancamento e di emancipazione sociale, non solo “protezione da”. Questo è il nucleo di una visione sostenibile del problema abitativo.
La proposta piano si apre con una indicazione “partecipativa”: prevede la formazione di una cabina di regia con la partecipazione di una pluralità di soggetti (organizzazioni sindacali, datoriali, fondazioni bancarie, terzo settore, associazioni). Qualsiasi logica concertativa richiede la formalizzazione tramite accordi del vincolo di partecipazione, ma soprattutto l’acquisizione di quote di autorità decisionale da parte dei partecipanti. La partecipazione non è svolgere un’attività consulenziale, per questo esistono competenze specifiche.
Una "patata bollente": il rapporto Comune-Atc
Nella parte finale del piano si dice che il Comune valuterà la possibilità di affidare la gestione degli immobili di sua proprietà ad una agenzia diversa da Atc. Una scossa sismica dagli sviluppi ancora aperti. Sull’inadeguatezza della direzione di Atc si è detto molto e a ragione. Non si è sottolineato che tali carenze sono anche il risultato di un sottoutilizzo delle competenze presenti nel corpo tecnico ed amministrativo dell’ente: professionalità e motivazione all’impegno sociale tacitate dal prevalere di logiche padronali prive di visione strategica.
I lavoratori di Atc continuano ad essere una risorsa delle politiche abitative della città. La pausa di valutazione può essere una “leva negoziale” per ottenere garanzie di efficienza gestionale da Atc o può essere la premessa di una nuova stagione dell’edilizia residenziale pubblica, ma qualsiasi scelta va collocata all’interno della politica pubblica proposta nel piano dell’abitare.
La questione dell’Atc non è uno spazio separato. Se così fosse rischierebbe di compromettere il piano stesso e qualsiasi scelta di gestione degli immobili va collocata dentro un piano ambizioso che si propone di mutare dalle sue fondamenta la condizione abitativa di decine di migliaia di cittadini torinesi.
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