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Buone relazioni sociali, un metodo per allungarsi la vita


di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi

E’ un pensiero comune che le persone estroverse e socievoli con una ricca vita di relazioni sociali positive vivono meglio e più a lungo rispetto alle persone più introverse e isolate. Il concetto ha avuto riscontro scientifico grazie ad uno studio pubblicato il 19 giugno scorso sulla rivista Nature Human Behaviour [1], secondo cui la solitudine e l’isolamento sono associati ad un aumento del rischio di morte per tutte le cause, rispettivamente dal 14 al 32% in più. La ricerca è stata condotta da Maoqing Wang e coll. dell’università cinese di Harbin.

Il team cinese ha condotto una revisione sistematica e una meta-analisi di 90 studi pubblicati tra il 1986 e il 2022, per un totale di 2.205.199 individui in campioni il cui stato di salute è stato costantemente monitorato nel tempo. Di questi studi, 29 sono stati condotti negli Stati Uniti e 61 in altri Paesi, tra cui Regno Unito, Giappone e Finlandia; tutti i partecipanti avevano almeno 18 anni e il 70% aveva compiuto i 50 anni. Visto che vivere meglio è più a lungo può interessare tutti merita approfondire l’argomento.


L’alternativa tra isolamento sociale e solitudine

Già A. Maslow aveva posto la sfera sociale delle interrelazioni umane basate sull’amicizia, sul ricevere e donare affetto e sull’appartenere ad un gruppo come bisogno fondamentale, una volta soddisfatti i bisogni fisiologici e di sicurezza.

La gratificazione di questo bisogno libera l’organismo dal dominio di un bisogno più basso nella scala e permette l’insorgenza di altri bisogni, più elevati quali la Stima (l’essere rispettato e riconosciuto), l’autorealizzazione (dove si cerca di realizzare la propria identità in base alle proprie aspettative) ed i bisogni estetici (un desiderio attivo argonauta può essere soddisfatto solo dalla bellezza).

La mancanza di rapporti sociali o intrattenerne contatti solo episodici con altre persone, costituisce il presupposto per un deterioramento psichico e fisico. La pandemia per evidenti ragioni ha compromesso molti dei rapporti in essere riducendo sia la rete sociale di riferimento sia i contatti con i propri cari. Il ritorno alla normalità non ha restituito automaticamente lo stesso livello di interrelazioni.

Anche se non ancora a livello patologico, la Solitudine ha generato una sensazione soggettiva di disagio, una percezione individuale che deriva da un gap tra le relazioni sociali che la persona desidererebbe avere e quelle che effettivamente possiede.

A livello statistico, lo studio in oggetto ha rilevato che sia l’isolamento sociale, che la solitudine erano significativamente associati a un aumento del rischio di mortalità per pressoché tutte le cause (compresa la mortalità per cancro e per malattie cardiovascolari). Gli esperti sostengono che, alla luce dei risultati, potrebbe essere ancora più importante in termini di salute pubblica sviluppare e perseguire strategie e interventi per affrontare l’isolamento sociale e la solitudine che è diventata una condizione dilagante tale da essere considerata una patologia post-Covid.

L’Italia, tra i Paesi occidentali presenta ancora una percentuale di suicidi più bassa, rispetto alla media (tra i 5 e i 9 casi ogni 100.000 abitanti): ci superano USA, Francia, Paesi Scandinavi, Polonia e Giappone. Percentuali ancora più preoccupanti nei Paesi dell’ex Unione Sovietica e in India dove si superano i quindici casi ogni 100.000 abitanti. Ed il dato non tiene conto dei tentativi di suicidi, statisticamente difficili da rilevare.

Oggettivamente l’isolamento sociale può favorire comportamenti non salutari, come la malnutrizione e l’inattività fisica; ma l’essere socialmente isolati può essere associato a una peggiore funzione immunitaria e la solitudine comporta disturbi del sonno e disfunzioni immunitarie.


Alla ricerca di rimedi

Gli angoscianti talk show di questi tempi fanno rimpiangere il saluto rassicurante di Mike Bongiorno "allegria!": forse messaggio banale e nazionalpopolare ma individuava un atteggiamento positivo nei confronti della vita che oggi si è disperso e che non è stato sostituito da più moderni messaggi beneauguranti.

L’urbanizzazione prima e la diffusione degli strumenti digitali, oggi, hanno favorito la crescita di contatti sociali superficiali, che hanno portato ad una maggiore solitudine soprattutto dopo i 50- 60 anni.

Il numero sempre maggiore di single (separati/e, vedove/i, single per scelta) ha favorito lo sviluppo di siti internet per incontri; nel mondo globale i figli sono spesso lontani per motivi di studio o di lavoro e quindi la solitudine e l’isolamento sociale sono sempre più diffusi e difficili da monitorare perché spesso scelgono scientemente di non farsi notare.

Una variabile proxi è offerta dalla crescita del mercato dei viaggi per single e l’aumento di persone che si rivolgono agli psicoterapeuti per affrontare le difficoltà della vita.

Il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie delle nostre città e le scoperte scientifiche (farmaci biologici, immunoterapia, ecc) favoriscono il prolungamento della vita ma famiglie sempre più piccole e pochi rapporti sociali rendono spesso la vita molto solitaria, riducendo così le potenzialità elaborate dalle scienze mediche, oltre che compromettere la qualità della vita.

La ricetta è tanto semplice quanto difficile da concretizzare: anziché concentrarsi nel criticare qualcuno davanti ad un televisore o con una tastiera, occorrerebbe confrontarsi con una persona reale e non con una controfigura virtuale e cercare di cogliere le opportunità divertenti che la vita offre e di condividerle con altre. Si può cominciare con il raccontare una barzelletta, memori che i grandi della storia (diversamente dai rancorosi) sono spesso state persone dotate di grande umorismo.


Note

1) A systematic review and meta-analysis of 90 cohort studies of social isolation, loneliness and mortality: Fan Wang,Yu Gao, Zhen Han, Yue Yu,Zhiping Long, Xianchen Jiang, Yi Wu, Bing Pei, Yukun Cao, Jingyu Ye, Maoqing Wang & Yashuang Zhao

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