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Un libro per voi: "Torino vista da vicino" di Simone Schiavi

Stefano Garzaro

a cura di Stefano Garzaro


Travolti dall’orda di immagini luminose – autentiche o contraffatte che siano – che impregnano la nostra quotidianità, abbiamo scordato la potenza comunicativa delle illustrazioni su carta. Strumenti del passato. Tra questi, uno spazio apparentemente minore era occupato dalla cartolina illustrata, il cartoncino dieci per quindici che il postino infilava in buca fino a una quarantina d’anni fa, uccisa silenziosamente dall’email.

Ma tra i cacciatori di testimonianze fotografiche, a Torino in prima linea è Simone Schiavi. Dopo i libri fotografici sul primo Novecento, sulla città devastata dalla guerra e sul paesaggio urbano osservato dal tram, Schiavi oggi si concentra sugli anni Cinquanta. Non allarga a pioggia la ricerca, ma apre un unico cassetto di un grande armadio: i dettagli di strade e piazze osservati grazie alla nitidezza della “vera fotografia”. Il volume Torino vista da vicino [1] è una mappa per immagini composta da una sessantina di cartoline commentate con la lente d’ingrandimento.

Si parte ovviamente da piazza Castello: se allarghiamo il campo di una foto aerea che inquadra l’intero quadrilatero romano, si distinguono non solo le rare auto di una piazza quasi deserta, ma anche due cartelloni pubblicitari – per la precisione del rabarbaro Zucca e dei gelati Motta – che nascondono le macerie di un albergo non ancora ricostruito dai bombardamenti. Non è l’unico vuoto che buca l’immagine. Lato via Po, infatti, s’innalza una facciata di finestre cieche, prive di edificio: è ciò che resta del Teatro Regio andato a fuoco nel 1936, e che rimarrà un guscio vuoto fino al 1973. Ma la ferita più vistosa è la spianata di fronte al Duomo, dov’era fino al 1936 il Palazzo Richelmy del Castellamonte, abbattuto in quell’anno e rimpiazzato soltanto nel 1957 dall’edificio dei Lavori pubblici, il discusso palazzaccio che ogni tanto qualcuno propone di demolire; il resto di quella desolazione verrà coperto molto più tardi dal parco delle Torri Palatine e da un parcheggio.

Riprendiamo a volare esplorando altri viali, altri spazi: in piazza Vittorio, sotto la lente appaiono le impalcature – siamo giunti al tetto – del collegio di via delle Rosine angolo via Maria Vittoria. La città è in piena ricostruzione e si prepara a contenere le masse dal Sud e dal Veneto che raddoppieranno il numero degli abitanti.

Ogni cartolina rivela piccoli segreti. La caccia al dettaglio porta in primo piano uomini con il cappello, antichi tram, filobus a tre assi, carretti, furgoncini, motorette, sidecar, gruppi di studenti in bicicletta, e poi auto della generazione Balilla come moderne cabriolet. Entrano in cartolina a loro insaputa muratori che montano ponteggi, massaie con la sporta, vigili urbani, come quello di largo Orbassano che orchestra un traffico fantasma dalla sua pedana a forma di torta.

Un capitolo a sé è dedicato alla Mole, edificio incomprensibile che per essere interpretato esige l’ingresso nella mente enigmatica di Alessandro Antonelli. La Mole, a differenza della Tour Eiffel visibile da qualsiasi punto di Parigi, è seminascosta, tant’è che non è raro imbattersi in turisti in centro che ne cercano smarriti la posizione. Attorno alla sua storia ruotano domande e risposte generate da leggende urbane: ad esempio, grazie a quale sorte la fragile Mole è stata risparmiata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale? Un miracolo, in una città fra le più colpite in Italia. Secondo la voce popolare, la guglia servì da bussola agli aerei inglesi e americani. Ciò non spiega però la distruzione di tutte le case intorno, compreso il teatro Scribe, rimasto a testimoniare quel dramma con i suoi ruderi per lunghi anni. E che dire di fronte alla proverbiale imprecisione dei bombardieri Lancaster e Whitley? La sopravvivenza di quella guglia, tutto sommato, è dovuta alla fortuna. A meno che non vogliamo attribuire il merito al fantasma di Antonelli.

Dove non ebbero successo le fortezze volanti riuscì invece la tempesta del 23 maggio 1953 che stroncò quarantasette metri di punta, un terzo dell’altezza della Mole. Le cartoline con la guglia mozza vennero stampate da ogni angolazione e rimasero in commercio presso i tabaccai ben oltre il 1960, l’anno di ripristino della nuova punta.

Abbiamo estratto a campione alcune storie fotografiche narrate dal volume: molte altre raggiungono dal centro le periferie, con le case popolari che crescono da Mirafiori alla Falchera accanto alle antiche cascine, disposte a schiera o secondo geometrie sperimentali. La Torino della “vera fotografia” è una città in piena rinascita. A quel tempo ci si illuse che Torino sarebbe diventata una metropoli internazionale, poi vennero le battute d’arresto una più pesante dell’altra. E se ripartissimo da quel punto? Magari, però, con altre premesse.


Note

[1] Simone Schiavi, Torino vista da vicino, Graphot, Torino 2024, 152 pagine, 20 euro.

 

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