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Un libro per voi: “Il fascismo è finito il 25 aprile 1945”

Aggiornamento: 4 set 2022

di Michele Ruggiero



Non è improbabile imbattersi in libri di storia che per ragioni multiple, da cui non sono estranee promozioni editoriali e benevole recensioni, contingenze politiche e economiche, all'interno di una collaudata cornice commerciale che si fonda sulla visibilità dell'autore, siano costruiti artificiosamente sul connubio passato-presente. Nel caso dell'ultimo libro dello storico Mimmo Franzinelli "Il fascismo è finito il 25 aprile 1945" (Editori Laterza) ci sentiamo di affermare il contrario: nulla di eteroguidato ha concorso a dare il segno dell'attualità alla pubblicazione, anche se è innegabile che una serie di coincidenze tutte favorevoli abbia contribuito, a più di quattro mesi dalla sua uscita, ad amplificare la gittata dell'analisi dell'autore sul presente.


Al massimo, non possiamo escludere che autore ed editore siano dotati di proprietà extrasensoriali tali da preconizzare alla presentazione del libro la crisi di governo, le dimissioni del professor Mario Draghi, elezioni anticipate al 25 settembre prossimo, nell'ordine. Una serie di avvenimenti che ha riportato in Italia la paura con l'ipotesi del partito di estrema destra Fratelli d'Italia al potere e con Giorgia Meloni a palazzo Chigi. Un partito, erede del Movimento Sociale Italiano, nato nel 1946 dalle ceneri del partito fascista, formalmente liquidato il 25 aprile 1945, anniversario della Liberazione, data simbolo della Resistenza italiana al nazifascismo intesa come precondizione alla nascita della Repubblica (2 giugno 1946) e alla Costituzione democratica (1 gennaio 1948).


Una paura amplificata dalla sensazione che i ritorni al passato non siano soltanto divertente finzione cinematografica, ma che possano diventare realtà da brivido e per nulla divertente. Guardarsi allo specchio e scoprirsi diversi da come si ci racconta da decenni può essere anche traumatico. Nel caso italiano, il trauma è il passato sotto forme diverse che ritorna a 100 anni esatti dalla Marcia su Roma (28 ottobre 1922), quell'assalto alle libertà dello Statuto Albertino che diede i poteri a Benito Mussolini. E fu un prologo alle elezioni farsa del 1924 con cui il listone fascista, a colpi di manganello e sorsate di olio di ricino, conquistò la maggioranza assoluta in Parlamento, passò un colpo di spugna sul regime liberale e consegnò agli italiani un ventennio dittatoriale che mise in scena una guerra criminale di aggressione con il nazismo di Hitler, lutti e rovine.


Un passato da cui non sembriamo assolutamente vaccinati, dunque non in grado di contrastare efficacemente: è la tesi di Franzinelli, studioso del fascismo e dei movimenti neofascisti che poggia la sua autorevolezza sull'anonima e faticosa frequentazione dell'Archivio di Stato, di fondi archivistici e bibliografici privati, piuttosto che su reiterate presenze televisive.


Nel suo lavoro, Franzinelli ripropone quanto sostenuto da una corrente di pensiero storica che cominciò ad affilare le armi dagli anni Sessanta e Settanta del Novecento, in primis con il compianto Guido Quazza, docente all'Università di Torino, che documentò nelle sue lezioni e pubblicazioni la continuità dello Stato nato dalla Resistenza e dal Referendum istituzionale con l'innervamento nei gangli vitali delle strutture della pubblica amministrazione e dei corpi separati (magistratura, polizia, esercito) di personale dichiaratamente fascista e compromesso con la Repubblica di Salò.


Una saldatura tra vecchio e nuovo favorita dalla divisione del mondo, dalla cortina di ferro che spaccò l'Europa, dalla compiacenza con cui anche le alte sfere del Vaticano applicarono il perdono evangelico ad autentici criminali di guerra, tesa a devitalizzare la forza del cambiamento sociale che animava la Resistenza, dunque la vittoria sul fascismo. E di conseguenza, a svalutare nei fatti concreti il 25 aprile, ricorda Franzinelli, perseguitando e condannando i partigiani, mentre i tribunali straordinari assolvevano e liberavano torme di aguzzini fascisti che sulla tortura, sulla brutalità e sulla violenza avevano eretto il loro spirito guerriero e il loro senso di patria.


Un rovesciamento di ruoli avallato e garantito da giudici nutriti e allevati dal Regime mussoliniano passati al servizio dello Stato democratico, e da funzionari delle forze dell'ordine ligi a bloccare qualunque forma di crescita sociale dei ceti meno abbienti. Una mentalità che ha generato mostri politici e non, che ha trovato utile rimuovere un passato intriso di vergogna nel quale si è contaminata per convenienza e sterile tatticismo anche la sinistra, denuncia lo storico nel suo libro. Una mentalità costantemente nutrita al ribasso, al compromesso che ha finito per rendere ancora più fragile di quanto già non lo siano per motivi storici la nostra democrazia e il nostro assetto statale.


Non deve stupire, sostiene lo storico, se chi ha raccolto la fiamma tricolore del Movimento sociale Italiana possa raccontare tutto e il contrario di tutto sulla storia del fascismo, sul ruolo avuto da Giorgio Almirante , padre spirituale di Giorgia Meloni (sua definizione), durante la Repubblica sociale italiana e negli anni della Repubblica in cui viviamo con l'eversione nera o sui comportamenti liberticidi di ras e quadrunviri della marcia su Roma cui si dedicano vie e piazze, o sullo stesso Mussolini cui decine di comuni, governati anche da giunte di sinistra, non ritirano la cittadinanza onoraria che suona come una violenza postuma ai partigiani uccisi dalle Brigate nere per aver difeso la Patria occupata dai nazisti.


Eppure, a dispetto della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana che vieta la riorganizzazione del Partito Nazionale Fascista e della legge 645 (legge Scelba) che ne prevede l'attuazione, sembra la macchina del culto del Duce proceda senza freni e che addirittura sia diventata l'avanguardia dei rigurgiti fascisti nel nostro Paese. Secondo Elena Loewenthal, saggista ed editorialista, citata da Franzinelli (pagg. 138-139), si tratta di un deficit culturale: "questo fascismo di ritorno è il contraltare di un'assenza di coscienza storica, del fatto che l'Italia deve ancora fare i conti con quella memoria e con una responsabilità collettiva capace di appropriarsi di quel capitolo terribile della nostra storia".

Ma siamo sicuri che si tratti di fascismo di ritorno e non, proprio per cultura, un fenomeno endemico di sola andata? In tal caso, che cosa si dovrà chiedere alla cultura del 25 aprile, che pur con tutti i suoi limiti ha vivificato l'idea possibile e realizzabile di un'Italia nuova, per tutelare democrazia e Costituzione?


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