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Torino in piazza per la Pace in Ucraina

Migliaia di persone in piazza Castello per dire “no alla guerra” in Ucraina e per invitare immediatamente le nazioni a sedersi al tavolo del dialogo. Torino ha risposto con partecipazione e passione all’appello promosso dalle istituzioni, dai sindacati, dalle associazioni, dalla società civile. In piazza Castello, tra uno sciame di bandiere, erano presenti il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo e numerosi consiglieri comunali, il neo vicepresidente del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, Daniele Valle, uniti insieme a coloro che hanno manifestato pubblicamente la volontà del cessate il fuoco in Ucraina. Una volontà condivisa dalla comunità ucraina che vive a Torino, che raccolta a semicerchio ha chiesto all’Italia e all’Europa di premere con decisione affinché Putin ritiri l’Armata rossa dalla loro patria.

La parola d’ordine è quella di bloccare i venti di guerra che soffiano prepotenti, non più occasionali, ma sempre più frequenti nelle nostre vite. Dagli anni Novanta del Novecento, dalla guerra dei Balcani, i teatri di guerra si sono moltiplicati in Europa o alle porte di essa e nel bacino del Mediterraneo. Il rischio assuefazione è più che presente. Ma è soprattutto presente il luogo comune che la guerra non investirà mai i popoli dell’Europa Occidentale. All’opposto, l’invasione dell’Ucraina, una guerra dai risvolti complicati e asimmetrica nelle ragioni dell’una e dell’altra parte, ha dimostrato che il Vecchio Continente vi è dentro fino alle ginocchia, proprio grazie alla sua inazione, al non essere soggetto politico unito e attivo sia sul piano diplomatico, sia su quello strategico-militare. E in una sfida che si rinnova tra due giganti, tra Usa e non più Urss, ma Russia, dove il tramonto delle ideologie ha lasciato spazio alle corde degli interessi personali e dei centri di poteri, che sono anche comitati di affari, lo scontro assume sembianti più cattivi e violenti non a parole, ma nei fatti. Come è accaduto in Ucraina. Ma prima di ieri, prima delle immagini di Kiev bombardata, la guerra ha distrutto e violentato la vita di persone innocenti in Siria, in Afghanistan, in Iraq, in Libia, nel Corno d’Africa, in Centro Africa.

Sono luoghi in cui guerra fa rima con dollari in svariati modi: armi, consulenti militari, mercenari, mercato nero, schiavi, sì schiavi nel XXI secolo. In questo quadro, gli stati europei recitano la parte manzoniana dei vasi di coccio, la cui fragilità è ulteriormente acuita dall’apparizione di nuovi attori sulla scena mondiale, autentici giganti economici: la Cina, in primis, seguita dall’India. Il risiko non è più quello della Guerra Fredda. E le bugie non hanno la finalità di preservare lo scoppio della Terza guerra mondiale, dopo la quale non ci sarà nulla, se non l’attesa di ritrovare una parvenza di convivenza civile. Oggi le menzogne, in quantità industriali sono funzionali, come la storia insegna, a manipolare l’opinione pubblica, a schierarla fino a piegarla a accettare l’orrore, cancellando anche il passato che potrebbe aiutare a capire e, dunque, a risolvere i problemi. Papa Francesco lo ha compreso bene nel recarsi all’ambasciata russa. La guerra è una questione politica e va risolta per vie politiche. Il peloso gioco di rimanere sdraiati a distanza sulle emozioni per il dolore altrui non ha mai aiutato chi soffre.

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