Torino, il Comune dedichi una via a Giulio Einaudi
di Marco Travaglini |
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Non c’è un luogo, nella toponomastica della prima capitale d’Italia, Torino, che porti il suo nome. Parliamo di Giulio Einaudi, nato sotto la Mole il 2 gennaio del 1912. Nessuna traccia toponomastica visibile tranne, come ricorda qualcuno, quella “E” sul citofono dell’ultima sua dimora, al n. 8 di via Pietro Micca. La riflessione su Giulio Einaudi, destinata al sindaco Stefano Lo Russo, al sua giunta e al consiglio comunale, arriva, forse, anche per associazione laterale alle imminenti elezioni del Presidente della Repubblica, che nel 1948 videro eletto il padre, Luigi Einaudi, cuneese di Carrù, a quel tempo professore di Scienza delle Finanze all’Università di Torino. Il professor Einaudi fu il secondo presidente della Repubblica, dopo Enrico De Nicola, avvocato, monarchico, riluttante al ruolo, eletto capo provvisorio dello Stato nominato dall’Assemblea Costituente il 28 giugno 1946, per poi vedersi attribuire il titolo di Presidente della Repubblica Italiana, mantenuto fino al 12 maggio del 1948. De Nicola ed Einaudi, uomini discreti, colti, riservati, espressione degna di una Italia sconfitta che desiderava guardava alla vita nel segno della libertà e rialzarsi, con il rispetto delle nazioni vincitrici contro il totalitarismo, dall’ignobile guerra d’aggressione fascista. Un altro mondo. Ma ritorniamo a Giulio Einaudi. La Porta di Vetro
Nacque 110 anni fa in via Giusti a Torino, l’editore che più di ogni altro ha dato spessore all’intellighenzia del Novecento italiano. “Spiritus durissima qoquit”, “lo spirito digerisce le cose più dure”, era il motto della sua casa editrice. A raffigurarlo, nella marca editoriale, uno struzzo che stringe un chiodo nel becco e, sullo sfondo, un paesaggio con un castello.
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