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Ricette ad alto rendimento per l’Italia

di Pietro Terna

Le elezioni in Emilia-Romagna e il virus venuto alla ribalta in Cina hanno attratto l’attenzione dei commentatori italiani molto di più del rapporto del Fondo Monetario Internazionale sulla nostra economia. Che cosa hanno detto gli analisti del Fondo? Nei titoli dei giornali la sintesi è stata “Fmi promuove l’Italia ma il deficit 2020 sale al 2,4” oppure “Fmi, il rapporto: crescita Pil dell’Italia all’1% nel 2018-2020” oppure qualche titolo sul reddito di cittadinanza, troppo generoso o al contrario insufficiente per le condizioni delle famiglie in maggiori difficoltà, o su quota 100. Avanti così dunque, sempre con il piede sul freno? Un insieme di ricette deboli per la nostra situazione. Nessun rilievo è stato dato all’inizio del documento1 dove si leggono le frasi “L’attuazione della politica fiscale nel 2019 è stata migliore del previsto e ha contribuito a migliorare la fiducia del mercato. L’impegno costruttivo con la Commissione europea ha consentito di evitare l’avvio della procedura per i disavanzi eccessivi dell’Ue”. Poco dopo: “Tuttavia, l’indebolimento del quadro esterno e l’incertezza della politica interna hanno complicato una situazione economica e sociale già difficile”. E se la prima condizione fosse anche una delle cause della seconda? Se la perdurante limitazione della politica di investimento della Pubblica amministrazione per via dei limiti di bilancio, in parte anche nostra colpa per la mancata negoziazione dello spazio per gli investimenti all’interno deficit, fosse in buona parte la spiegazione della nostra situazione? La mancanza di investimenti non è solo causa della debolezza congiunturale, ma ha ormai un pesante effetto strutturale. Il Governo si propone di durare – quale Governo non se lo proporrebbe – e ora un insieme di spinte e controspinte esterne potrebbe assicurarne una permanenza significativa. So che questo tipo di congetture è a alto rischio di errore, ma non è una giustificazione per l’inerzia. Negli stessi giorni del rapporto FMI, dall’Università Federico II di Napoli, Ennio Cascetta, ordinario di pianificazione dei trasporti ed ex capo della struttura di missione del ministero delle infrastrutture con Delrio, sottolineava in uno studio, ben annunciato da Il Sole 24 Ore del 30 gennaio, che nelle regioni più ricche (con reddito pro capite sopra la media) le città dotate di stazione Alta velocità hanno visto crescere il Pil del 10% nel decennio 2008-2018 (è il dato provinciale) contro il 3% delle province che hanno una distanza superiore alle due ore da una stazione. Sette punti di differenza. La figura che accompagna questo articolo sintetizza i dati in una mappa. Ecco quindi uno dei grandi impegni per il Governo: il rilancio delle infrastrutture di trasporto, di ogni tipo, con le relative adeguate manutenzioni e con i sempre più indispensabili rifacimenti: è un investimento che rende moltissimo, in termini di benessere e di Pil, e quindi anche di entrate dalla pubblica amministrazione. Sempre negli stessi giorni del rapporto FMI, Ivano Dionigi – latinista, ex rettore a Bologna, autore del recente e raccomandabilissimo libro Osa sapere (l’imperativo kantiano sapere aude) che decifra la situazione sociale e politica contemporanea sulla base della cultura classica – ha dedicato la sua rubrica Tu qui es? sull’Avvenire del 30 gennaio, all’ultima indagine sui laureati condotta da AlmaLaurea, con il titolo Il guscio vuoto. L’indagine presenta dati positivi sia sul fronte del profilo dei laureati italiani (censiti 280mila) sia su quello degli occupati a uno, tre e cinque anni dalla laurea (680mila intervistati). Moltissimi i dati positivi: mobilità, più laureati stranieri, regolarità degli studi, esperienza all’estero, stage e tirocini. Migliorano anche occupazione e retribuzioni, anche se sempre inferiori a quelli anteriori alla recessione.


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