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- a cura del Baccelliere
- 20 ore fa
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Da Wish you were here 50 dei Pink Floyd al rapimento della nostalgia
a cura del Baccelliere

A note già scritte, è arrivato il triste annuncio della morte di Chris Rea, chitarrista inglese di origine italiana dal timbro di voce profondo, che ha attraversato l'ultima parte del Novecento con originalità, senza mai lasciarsi contagiare del consumismo musicale. Che la terra ti sia lieve, Chris.
Il 12 dicembre è stato pubblicato Wish you were here 50, ristampa celebrativa del disco dei Pink Floyd che vide la luce nel 1975, disponibile in vari formati: 3LP, 2CD, Blu-ray, digitale e cofanetto deluxe. Di per sé la notizia non è così originale. Viviamo in un’epoca nella quale, specie sotto le feste, sono frequenti le riedizioni di opere che hanno segnato epoche più o meno lontane.
Quello che sorprende è scoprire che Wish you were here 50 è balzato al primo posto nelle classifiche internazionali di vendita. Primo posto che al momento della prima uscita non era stato raggiunto. Il ritorno in cima alle classifiche dei Pink Floyd che non esistono più non è soltanto un successo postumo. Offre anche qualche spunto di riflessione sull’attualità e sui rapporti che i fruitori contemporanei, gli appassionati prima degli ascoltatori distratti, hanno con la materia musicale che un’industria che ha sempre più il fiato corto mette a loro disposizione.
Che cosa significa il successo di Wish you were here 50? Il mercato è in mano ai boomer e alle loro nostalgie? Mancano le alternative? Oppure i capolavori non hanno tempo? Tutte le ipotesi contengono scampoli di ragioni. La nostalgia c’entra. Ma si tratta di un sentimento complesso, che assume caratteri universali e non può essere circoscritto a chi c’era. La nostalgia del non provato è una ricerca di senso che un presente difficile da mettere a fuoco non consente di trovare. Le alternative ci sono. Occorrerebbe più tempo per farle sedimentare. Un disco - che dovrebbe essere un punto di arrivo di una proposta musicale - anche grazie ad una riduzione dei costi di produzione, non si nega a nessuno.
Manca il tempo per far diventare le opere dei classici. A questo si aggiunge una forma di sfiducia nel nuovo. Come se stessimo mettendo in discussione l’idea che l’innovazione coincida sempre con il progresso. Il nuovo ha bisogno di tempo e di fiducia. Il nostro presente è rumoroso, frenetico e ci comunica un senso di fragilità. I capolavori resistono, contengono forme di verità. E questo è un segno di vivacità intellettuale. Wish you were here parla di alienazione, di distanza fra le persone, di arte come merce. Ha ancora qualche cosa da dire. Al di là della confezione lussuosa, delle ingombranti bonus track e della rimasterizzazione, la lunga, estatica, introduzione di Shine on you crazy diamond [1], il testo del brano che dà il titolo al disco [2], il grido di Welcome to the machine[3] parlano dell’umanità del terzo millennio. Rendersene conto è un segno di vitalità culturale e non di declino.
Note
[2]“so you think you can tell heaven from hell”, nelle nostre vite Inferno e Paradiso sono pericolosamente indistinguibili.













































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