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Minori “allontanamento zero”, limiti della Legge regionale

di Anna Maria Colella |


Il Consiglio comunale di Torino, con un ordine del giorno votato la settimana scorsa, ha riportato all’attenzione politica e dell’opinione pubblica il Disegno di legge della Regione Piemonte sull’affidamento dei minori, meglio noto come “allontanamento zero”. Nel documento, che ha ricevuto 28 voti a favore (24 della maggioranza di centro sinistra), 9 contrari, un astenuto, si denuncia che il decreto legge regionale “rappresenta una forma di delegittimazione degli operatori”, “delegittimazione [che] alimenta la sfiducia e concorre all’aumento delle aggressioni nei confronti degli assistenti sociali, considerati i responsabili ultimi degli allontanamenti, sebbene in Piemonte da molti anni l’istruttoria sia sempre effettuata in forma collegiale (équipe) e multidisciplinare la decisione di allontanare un minore dalla sua famiglia sia sempre assunta o comunque convalidata ad horas dalle autorità giudiziarie. Sul tema, interviene Anna Maria Colella, funzionario ufficio minori Regione Piemonte dal 1980 al 1996, Direttote ARAI (Servizio regionale per le adozioni internazionali) della Regione Piemonte dal 2002 al 2018. La Porta di Vetro

La Città di Torino ha maturato negli anni una lunga esperienza in materia di affidamento familiare perché la deliberazione istitutiva del servizio risale al 1976. Anni in un certo qual modo anni pionieristici che influenzarono direttamente anche la Regione Piemonte che arrivò a istituire la prima anagrafe in Italia dei bambini in istituto. Il cerchio si chiuse poi con la promozione dell’affidamento familiare addirittura prima dell’approvazione della legge nazionale n. 184/83 a conferma di una sensibilizzazione oramai radicata nelle istituzioni locali. La Regione, infine, dopo una serie di approfondimenti con la società civile, la Chiesa cattolica, magistrati, operatori sociosanitari e educativi, associazioni, cominciò concretamente a promuovere interventi alternativi all’istituzionalizzazione dei minori e a darsi una più compiuta organizzazione dei servizi e nel settore della formazione. Il risultato fu un cambiamento epocale: sostegni alle famiglie, educativa territoriale, affidamenti familiari, inserimento in comunità, adozioni. E ancora. Tavoli di lavoro e di confronto costruttivo, più di venti deliberazioni regionali negli anni sull’argomento, risultati concreti anche nelle situazioni in cui i bambini si sono ritrovati con due famiglie, quella di origine e quella affidataria. Su questo fondale di quarant’anni di lavoro è precipitato nel 2019 il disegno di legge regionale 64, denominato “Allontanamento zero”. Il testo ha sollevato numerose obiezioni per la sua impostazione, basata su presupposti ideologici (primato della famiglia di sangue) e di sfiducia nell’operato dei servizi. Il tutto all’interno di una cornice di dati non confermati, copiosi e avvelenati frutti di una campagna disinformazione che ha attinto acriticamente da notizie di cronaca e da interventi della giustizia penale sulla questione affido. Un campionario negativo, è innegabile, riversato però sull’opinione pubblica e “venduto” come la rappresentazione assoluta del Male: eccessivi allontanamenti, mancato rispetto dei bisogni di bambini e famiglie; speculazioni economiche alla base dell’allontanamento dei minori dalla famiglia. Un’azione fondata sul combinato disposto del pregiudizio e della demagogia, a mio avviso, tipica di quando si prende una parte per il tutto per sostenere arbitrariamente il fallimento dell’esistente.Non a caso, in questi due anni, il disegno di legge regionale – che non ha aumentato peraltro gli investimenti nei servizi – ha ricevuto più critiche che sostegni dalle categorie professionali coinvolte: operatori dei servizi, ordini professionali, docenti universitari, magistratura, organizzazioni sindacali, associazioni femminili, associazioni di famiglie. Appena il DDLR è stato approvato dall’esecutivo del presidente regionale Alberto Cirio a trazione più destra che centro, si è costituito il Comitato Zero Allontanamento Zero, che ha continuato a seguire l’iter della legge. A causa della pandemia il percorso è stato rallentato ma, quando a fine 2021 sono riprese le audizioni, in commissione regionale si sono nuovamente levate le voci contro una legge che non tutela i bambini e le famiglie. È bene ribadirlo senza tentennamenti: allontanamento zero equivale, specialmente nei casi gravi, a zero protezione. E non è questo che le leggi nazionali e internazionali prevedono per i minori. Nel 2020 erano seguiti dai servizi sociali 55.618 casi (su una popolazione minorile totale di 632.541, pari al 8.79 per cento; un calo minimo rispetto al 9 per cento dell’anno precedente). Di questi bambini in carico ai servizi solo 1.435 risultano allontanati (al netto dei MSNA, i minori stranieri non accompagnati, ) dei minori che vivono in comunità mamma-bambino e dei minori affidati a parenti). Dunque, la percentuale risulta del 2,61 per cento contro un 97,39 per cento seguito in famiglia dai servizi. Ogni commento, rispetto alle feroci polemiche di alcuni anni fa sull’onda emotiva di scandali o presunti tali, è superfluo. Governare, sia a livello centrale che regionale, e amministrare negli enti locali, più vicini di tutti ai cittadini, significa mettersi in ascolto davvero e intervenire per il bene pubblico. Perché l’amministrazione non istituisce in base alla legge regionale 8 gennaio 2004 n. 1, un Osservatorio come previsto all’art. 4, per la promozione della tutela dei minori, e non solo per gli allontanamenti familiari? Sarebbe sufficiente una delibera di Giunta. Ma, forse, ciò metterebbe in crisi tutto l’impianto su cui si regge il disegno di legge e costringerebbe Regione e assessorato ad ammettere che il vero passo in avanti sarebbe quello di mettere in campo aiuti concreti per le famiglie d’origine, per le famiglie affidatarie (spesso dimenticate a causa di carenze del personale) e sostegni alle comunità. Ultimo, ma non meno importante, sostenere con le parole e con i fatti le famiglie in difficoltà, in attuazione dell’art. 3 comma 2 lettera d) e dell’art. 44, comma 2, lettera h) della stessa legge regionale sulle politiche sociali n. 1/2004, non in contrasto con essa.

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