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Matteo Denaro Messina, fine della lunga latitanza del Diabolik di Trapani

Aggiornamento: 17 gen 2023

di Maurizio Jacopo Lami


«I lati latitano a casa».

Commissario Beppe Montana ucciso dai mafiosi corleonesi nell'estate del 1985, parlando dell'abitudine dei mafiosi di non lasciare le zone da loro dominate per paura di essere spodestati.


«Con tutti i cristiani che ho ucciso si potrebbe riempire un cimitero»

Matteo Messina Denaro, dichiarazione del 2006


Tutti i boss mafiosi sanno che verrà un giorno: il giorno che una voce sconosciuta ti dirà all'orecchio: «il ballo è finito, sei in arresto», e quel pensiero gli brucia l'anima, gli rende amaro ogni festeggiamento»

Joe Pistone, il leggendario infiltrato dell'FBI che nel 1979 si infiltrò nella mafia di New York e scoprì mille segreti. La mafia non riusciì ad eliminarlo.


Matteo Messina Denaro, 60 anni, catturato stamane, 16 gennaio 2023, trent'anni e un giorno la cattura del suo antico capo, Totò Riina, non significa certo la sconfitta definitiva di Cosa Nostra (e onestamente nessuno ha detto il contrario....) ma è la fine di tante cose , e soprattutto chiude la possibilità che i boss mafiosi tornino a sfidare lo Stato. «U siccu» come lo chiamavano per via della sua magrezza, rappresenta insieme ai fratelli Graviano la mafia che a un certo punto osò fare stragi non solo sanguinarie, ma soprattutto dai contorni misteriosi, come a Firenze nel 1993.

Lo hanno preso in una clinica di Palermo, fra le più rinomate per le cure oncologiche, dove da almeno un anno faceva visite periodiche (sei hanno affermato gli inquirenti in conferenza stampa) per farsi curare un tumore. Era solo a 600 metri dalla sede centrale della Dia, l'organismo che si occupa della lotta ai latitanti, e la cosa non ci stupisce per due motivi: primo, sempre nascondersi dove nessuno pensa di di cercarti; secondo era tipico del personaggio, sempre desideroso di distinguersi.

Matteo Messina Denaro, descritto come un autentico tombeur de femmes, amava farsi chiamare Diabolik come il geniale criminale dei fumetti, e questo la dice lunga sia sull'idea che aveva di sé stesso, sia sull'idea di voler sfidare in tutti i modi la giustizia. In realtà con lo Stato, che a parole voleva sfidare (in una lettera scrisse «Il progetto che ho in mente io, nemmeno fra cento anni verrà capito») faceva grandi e lucrosi affari, specie nel campo delle energie eoliche («quei pali se li dovrebbe ficcare nel….» aveva detto un furioso Totò Riina sentendosi abbandonato dal compare di Trapani, che dopo essere stato elevato al rango di boss di prima grandezza si era ben guardato dal tentare di farlo evadere), tanto che la Guardia di Finanza e i Carabinieri trovavano ovunque in Sicilia milioni e milioni da sequestrargli.

Conferenza stampa a Palermo

Esattamente come Leoluca Bagarella, il cognato di Riina, aveva un'altissima idea di sé stesso e non si faceva scrupolo di sacrificare chiunque, parenti, amici, compari, pur di restare libero. C'è invece una grande differenza tra lui e Totò Riina, il « Capo dei capi », il sanguinario corleonese: Riina era stato catturato mentre era allo zenit del potere, praticamente onnipotente dentro Cosa Nostra; Messina Denaro, invece, è stato catturato quando ormai aveva perso moltissimi pezzi della sua organizzazione, a causa del tenace lavoro dei carabinieri e dei poliziotti che prendendosi mille rischi avevano assicurato alla giustizia moltissimi suoi collaboratori. Tanto che in molte intercettazioni si lamentavano del suo «egoismo»: secondo loro continuava ad andare avanti, senza preoccuparsi dei tantissimi arresti dei suoi. Su di lui c'erano due sinistre storie che vale davvero la pena di raccontare.

La prima è che dopo il clamoroso arresto di Riina, corresse la voce che documenti misteriosi comprovanti la complicità fra ampi settori dello Stato e la Mafia fossero passati in «eredità» a lui. Si diceva anzi che lui definisse questi documenti (ammesso e non concesso che esistano davvero: è davvero difficile per non dire impossibile pensare che esistano prove scritte di accordi inconfessabili) la sua «assicurazione sulla vita».

La seconda tragica storia è legata al punto più basso toccato dalla mafia: l'uccisione del piccolo (aveva solo 13 anni) Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, tenuto sequestrato in condizioni tremende per due anni e poi spietatamente strangolato per ordine diretto di Giovanni Brusca («liberatevi del cagnolino» aveva ordinato e i suoi feroci compari avevano eseguito). Anche Matteo Messina Denaro aveva aderito al progetto e non aveva avuto pietà del ragazzino

Ora, grazie all'impresa dei Ros dei carabinieri, la trentennale latitanza del boss di Trapani è giunta alla parola fine. Da domani, con tutta probabilità, comincerà l'infinita polemica di chi dice di sapere tutto (sempre dopo, mai prima....) e ci racconterà che c'è stato chissà che accordo, che il boss ormai era in pensione, che è tutta sceneggiata. Ma possiamo scommettere che nessuno potrà avanzare dubbi su un punto: l'unico vero modo che ha lo Stato (Cesare Beccaria sosteneva che deve avere il monopolio della forza) per imporre la Legge e soprattutto proteggere gli onesti, è dimostrare che nessuno è sopra la legge. O in termini più etici, che il Male va sempre combattuto con energia, non certo con rassegnazione. Dunque, godiamoci questo giorno di vittoria per lo Stato e per tutti coloro che non si sono arresi al Male.

Matteo Denaro Messina, il ballo è finito, sei in arresto!


















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