Le mille variabili del Green pass
di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi |
Durata del Green Pass a 12 mesi, terza dose di vaccino anti Covid-19: luci e molte ombre di un cammino appena iniziato, ma che non possiamo intellettualmente rifiutare di percorre solo perché irto di pericoli. In proposito, nella conferenza stampa di ieri, 2 settembre, il presidente del Consiglio Mario Draghi non ha usato circonlocuzioni per paventare la terza dose e l’obbligo vaccinale se i dati epidemiologici dovessero peggiorare. Né ha mostrato timori ad eventuali reazioni all’interno della compagine che sostiene il suo governo. Infatti, per la prossima settimana è probabile che il Green pass sarà esteso ad altre categorie.
La necessità di far conciliare le diverse articolazioni che caratterizzano la nostra società con l’esigenza di stabilire regole semplici e di immediata applicazione non ci deve far dimenticare che trova difficoltà non solo in Italia, ma in tutti i Paesi occidentali. Evidentemente non siamo più capaci o non vogliamo più essere assoggettati a qualsivoglia tipo di regole. Il green pass è un banco di prova su cui occorrerà riflettere in ogni sua ripercussione.
A complicare la questione è ora la durata del Green Pass, per sua natura strettamente connessa alla durata della protezione vaccinale e della somministrazione della terza dose che rappresenta il solito inconcludente tavolo di discussione fra pro e contro.In Israele e in Serbia il richiamo è già una realtà; negli Stati Uniti la Food & Drug Administration (F.D.A.) ha autorizzato la terza dose che sta iniziando ad essere somministrata dopo almeno 6 mesi dalla seconda dose; la rivista Nature è promotrice di un appello per fermare la terza dose di vaccino senza dati solidi; per il prof. Massimo Galli “è una fuga in avanti ancora senza dati sicuri sulla durata della protezione”; per il prof. Fabrizio Pregliasco “è necessario un rinforzo vaccinale per tutti”; per il prof. Giovanni Rezza “è necessario programmare eventuali richiami in maniera graduale sulla base delle necessità e delle evidenze scientifiche” e per il prof. Matteo Bassetti “è inutile fare una terza dose a tutti indistintamente dopo 8 mesi, a 12 mesi probabilmente si dovrà fare la terza dose che rappresenta il richiamo annuale; diverso è il caso per i soggetti immunodepressi ai quali potrebbe essere necessaria una terza dose anche dopo 6 mesi“. Paese che vai, certificati che trovi
Come si può notare il dibattito tra favorevoli e contrari alla terza dose è in corso. Ed è giusto che sia così finché non si arriverà ad una soluzione definitiva, anche se ciò genera apprensione nella popolazione che vorrebbe una soluzione unica ed incontrovertibile: ma questo è dogmatismo, non scienza empirica. In Israele si è avuto un picco di contagi con oltre 8.000 casi giornalieri positivi che non si registrava da gennaio e quindi è iniziata la somministrazione di una terza dose agli over 50, persone fragili e sanitari per circa 1 milione di persone. Su quasi 10 milioni di abitanti oltre il 58% ha ricevuto almeno due dosi di vaccino. In Serbia è iniziata la somministrazione della terza dose dopo 180 giorni dalla seconda dose per tutti i cittadini; in questo Stato dall’inizio della pandemia ci sono stati circa 730.000 contagi e circa 7.000 decessi. Negli USA sono aumentate le ospedalizzazioni e quindi l’FDA ha autorizzato la terza dose di vaccino dopo 8 mesi dalla seconda e si inizierà il 20 settembre con immunodepressi e anziani per poi arrivare a tutti i cittadini. Anche Germania, Francia e Gran Bretagna offriranno il richiamo ai pazienti fragili, nelle R.S.A. e al personale sanitario. Le prese di posizione dall’Organizzazione mondiale della sanità
È evidente che la battaglia contro la Covid-19 non è conclusa; l’arrivo dei vaccini a fine 2020 ci aveva fatto sperare in una soluzione rapida ma, nonostante un numero di immunizzati sempre più alto, i contagi a livello mondiale non si fermano. Nel mondo sono stati registrati oltre 4,4 milioni di nuove segnalazioni settimanali, il che ha portato i casi a 206 milioni dall’inizio della pandemia (ma ciò non vuol dire che i vaccini non abbiano rallentato il fenomeno e salvato un‘infinità di vite). L’Organizzazione mondiale della sanità ha sollecitato la sospensione della terza dose per mancanza di dati solidi sull’efficacia del richiamo e ha ricordato a tutti che ci deve essere un’attenta analisi del rapporto costi-benefici compreso il rischio, vista la relativa scarsità di dosi, di ritardare la somministrazione in Paesi molto vulnerabili che non riescono a fare neppure la prima dose e vivono in condizioni igienico-sanitarie carenti.
Non è possibile definire, se non concettualmente, un algoritmo che metta in correlazione il maggior rischio che il singolo corre nel non poter fruire della terza dose, con la maggiore probabilità di infettarsi se la popolazione che vive intorno a lui (più o meno vicino) contrae l’infezione. Troppe le variabili in gioco per giungere ad una soluzione che trascenda dalle considerazioni ambientali e troppo poche le conoscenze a disposizione: la soluzione però non è quella di rinunciare a studiare la situazione per abbracciare soluzioni ieratiche, ma continuare nelle ricerche per fornire dati sempre più attendibili.
Queste osservazioni devono indurre i decision maker (dai politici agli epidemiologi, dai manager della sanità agli esperti di comunicazione) ad assumere decisioni non solo in relazione al proprio Stato, ma guardando a livello mondiale verso Paesi che non hanno risorse sanitarie ed economiche in grado di affrontare questa pandemia.
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