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"La Cisl ha perduto la sua anima di sinistra"

di Adriano Serafino

Il recente congresso Uil segnala che Pierpaolo Bombardieri - segretario generale - sceglie l’alleanza strategica con la Cgil di Maurizio Landini proponendo un percorso di unità sindacale. Vira a sinistra? La Cisl di Luigi Sbarra prende tempo e sta alla finestra affidandosi ad un tipo di centralismo confederale impregnato di moderatismo e di toni populisti, che finora poco è servito per conseguire significativi risultati: per riformare il mercato del lavoro con al centro l’abbattimento della precarietà e dell’insicurezza sul lavoro, per la formazione obbligatoria - o attività in servizi per la collettività - per usufruire della Cig o della Naspi, per la modifica di quei criteri del sistema economico-finanziario che generano speculazione da rapina, per far sì che la pubblica amministrazione eroghi servizi universali oggi sempre meno fruibili.


La Cisl si è creata un’immagine dove la parola responsabilità diventa nei fatti sinonimo di compatibilità adeguandosi sempre più agli imperativi del libero mercato. Il voto dei mercati è sempre più determinante per il comportamento e le scelte sindacali cisline, mentre quanto espresso come priorità dal voto delle assemblee dei lavoratori è di frequente diventato marginale nella vita organizzativa della Cisl. Penso di non allontanarmi dalla realtà affermando che la maggioranza degli attuali dirigenti sindacali Cisl (sono 36.922, dati dal Bilancio di missione 2019-2020[1]) non ritiene fondamentale come un tempo il rapporto diretto con le assemblee unitarie delle Rsu e delegati, dei lavoratori e tantomeno i referendum,che pure sono strumenti indispensabili per legittimare la rappresentanza (accordi confederali unitari con la Confindustria del 2011 e 2013).


Carta bianca dei fedelissimi ai vertici

L’identità e l’agire della Cisl sono determinate oggi da un esercito di fedelissimi che operano con la tacita regola, totalmente opposta ai principi Statutari, di avere una garanzia di sicurezza sociale e di lavoro in cambio di una sorta di carta bianca rilasciata ai leader per le scelte politiche dell’organizzazione. Un patto corporativo favorito da un modello organizzativo di neutralizzazione della base impedita a far valere le priorità dei lavoratori. Cisl è già diventata, in buona parte, una comunità di interessi particolari tra quadri intermedi e vertici, che hanno uno status sociale ben diverso da chi vogliono rappresentare.


Incidono molteplici fattori esterni all’organizzazione ma ora mi soffermo solo su quelli endogeni. Tra questi indico il decadimento culturale su due concetti, un tempo ampiamente diffusi nel popolo Cisl e tra i lavoratori, espressi da due grandi dirigenti della Cisl del passato, Bruno Storti (un democristiano doc) e Pierre Carniti (mai democristiano), uniti sui grandi principi, ma alternativi nelle strategie e sulla democrazia sindacale:

"un sindacalista non può che essere di sinistra...", ribadito da Bruno Storti in uno storico Consiglio Generale Cisl di Spoleto (1975) per porre un riferimento all’accesa dialettica tra Pierre Carniti e Franco Marini leader delle due anime che si stavano fronteggiando sul tema dell’unità sindacale.

"...meglio sbagliare insieme che da soli..." un mantra per Pierre Carniti, in serrata dialettica all’interno della Cisl e verso la componente più tradizionalista (in prevalenza comunista) della Cgil sul valore e sul significato di convocare assemblee con facoltà deliberativa, per costruire unità, partecipazione e coesione sulle strategie e rivendicazioni.


Essere di sinistra” significava allora e vale per l’oggi, al di là di aderire o votare un dato partito, essere impegnati nella quotidianità per tradurre in fatti concreti la triade eguaglianza-giustizia-libertà. La destra ne segue un’altra ben diversa. La Cisl afferma di volere operare con pragmatismo, anche per l’unità. Quanti dei 36.922 dirigenti Cisl conoscono e ritengono ancora attuali i due concetti espressi da Storti e Carniti? Per tanti di noi lo sono e l’unità è una necessità, è possibile.


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