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L'Editoriale della domenica. Leone XIV, figlio di un Conclave che si è espresso in Cristo

Aggiornamento: 11 mag

di Guido Tallone


In piazza e spiazzati. Disorientati. È stato questo, la sera dell’8 maggio 2025, il primo sentimento avvertito dai tantissimi che, in piazza san Pietro, hanno partecipato (fisicamente e attraverso i media) alla presentazione del nuovo Papa: Robert Francis Prevost, che ha scelto il nome di Leone XIV.

Particolare da non sottovalutare: in un momento in cui l’imperativo dominante è avere tutto “sotto controllo” (pena grandi crisi di ansie e consistenti attacchi di panico), un sano disorientamento è sano. Fa bene. Conferma il fatto che la vita va continuamente accolta con il suo carico di imprevedibilità, di attese e di “novità” senza la pretesa, falsa e nociva, di voler sempre tutto prevedere, pianificare o controllare.

Ma perché i cardinali della Chiesa cattolica si sono orientati su un candidato che non era tra i primi della lista dei cosiddetti “papabili”?

Preso atto che molte analisi – puntuali e competenti – sono già state formulate, anche da questo sito, scelgo di partire, per queste poche riflessioni, dal motto episcopale scelto dal nuovo Vescovo di Roma. Lo confronteremo poi con il motto della nostra Europa e degli Stati Uniti d’America alla ricerca di convergenze ed eventualmente anche di distanze.

Il motto episcopale scelto da Leone XIV è: “In Illo uno unum” (“in colui che è Uno – Cristo – siamo uno solo”), tratto dal commento di sant’Agostino (354-430) al salmo 127, all’interno del quale viene riportata questa frase: “Parlando a dei cristiani, sebbene siano molti, nell’unico Cristo io li considero una sola unità. Voi dunque siete molti e siete uno”. Per il Vescovo di Ippona l’unità del popolo di Dio non è sinonimo di omologazione o di piatta uniformità. L’unità cresce e si afferma – dichiara Papa Leone facendo sue le parole di sant’Agostino – solo se le diversità di chi “cammina insieme” vengono valorizzate, accolte e mai negate. Significa che la comunione tra singoli e popoli, per Papa Leone, è certamente dono di Cristo, ma è anche impegno verso il quale dobbiamo tendere tutti – nessuno escluso – a partire dall’accoglienza della unicità e diversità del fratello che ci è accanto.

Una provocazione tanto incisiva quanto attuale se si tiene conto che oggi tanto il “mondo” quanto la “chiesa” fanno fatica a praticare la concordia e l’unità seguendo questo indirizzo. Partiamo dal mondo. Sta crescendo il numero dei politici che, arrivati al governo di uno Stato in modo più o meno democratico, chiedono ai cittadini (sudditi?) obbedienza cieca assoluta al proprio programma e sono pronti a “spegnere”, sul nascere, qualsiasi forma di critica perché il dissenso è da ritenersi intollerabile. Così facendo, però, si attivano strategie sociali e politiche che portano a considerare ogni forma di “diversità” una minaccia per il bene comune generando, di conseguenza, sofferenze indicibili in chi dissente e nelle loro comunità di appartenenza. Sul fatto che tale ostilità al dissenso trasformi la diversità nella scintilla che accende un conflitto inevitabilmente esposto al rischio della violenza, non è il caso di fermarsi.

Il meccanismo è sempre lo stesso: quando si vuole spingere il pluralismo delle comunità sul versante della “omologazione” e del pensiero unico, è inevitabile che si arrivi alla tolleranza zero per ogni voce fuori dal coro. Da lì in poi c’è bisogno degli eserciti e della violenza per imporre l’ordine e l’omologazione che si vuole raggiungere. Per il mondo, perciò, il motto di Papa Leone è balsamo, ossigeno e libertà allo stato puro. Per proporre alle Nazioni a convivere nelle libertà reciproche senza mai ridurre chi ha un’idea diversa ad un nemico da portare in guerra.

Per il mondo della chiesa alcune dinamiche sono simili. Ampi strati del mondo ecclesiale erano attraversati dal dubbio e dal sospetto, prima del Conclave, che – dopo la morte di Papa Francesco – la sua apertura profetica ad un reale rinnovamento della chiesa potesse, di fatto, essere archiviata. Da altri contesti ecclesiali – invece – c’era il timore di non riuscire a tenere insieme le “due chiese” sempre più visibili e più riconoscibili come distanti l’una dall’altra: quella più conservatrice che vorrebbe, ad ogni costo, “fermare” e zittire, una volta per tutte, quella più progressista.

La chiesa cattolica – sembra dirci il veloce Conclave che si è concluso da pochi giorni – non ha ricette magiche per affrontare (e curare) le crisi epocali in cui siamo immersi. Il cuore umano è perennemente esposto al rischio dell’idolatria dell’Io che si chiude al confronto con l’altro e con l’Altro. La chiesa di Roma non dispone di strumenti legislativi vincolanti per il mondo o di codici comportamentali da imporre con l’uso delle sanzioni. Tutto ciò che i cardinali hanno potuto offrire alla chiesa e al mondo è il Vangelo del Signore Gesù vissuto da comunità cristiane che, in comunione con la chiesa di Roma, possono e devono testimoniare che tanto la Pace nel mondo quanto il vivere in comunione nelle comunità di fede sono certamente doni di Cristo, ma anche scelte di un preciso impegno da attuare con generosità.

I cardinali di Roma non ci hanno offerto un testo o un (ennesimo) documento scritto. Dopo pochissime ore di confronto e di reciproca consultazione ci hanno però “consegnato” uno di loro “elevato a primo tra pari” perché possa aiutare tutte le comunità della chiesa cattolica, e il mondo intero, a costruire “ponti” e a fare della diversità la fonte della nostra ricchezza. Anche questa è la bellezza di una chiesa che sa farsi “carne”, storia, relazioni e comunità a partire dall’ascolta della Parola che si è fatta carne. Ma vediamo adesso come il motto di Papa di Leone XIV, vescovo di Roma, dialoga con i motti dell’Europa e degli Stati Uniti d’America.

Il motto europeo, adottato nel 2000, è il seguente: “Unità nella diversità”. Un trasparente ed esplicito rimando al fatto che siamo popoli e Paesi alle prese con storie, tradizioni e costumi anche molto differenti, ma che possiamo tendere all’unità e alla Pace solo se impariamo ad accogliere le nostre diversità come ricchezza e come risorsa per una reciproca accoglienza (con l’aiuto che si può avere dagli idonei strumenti democratici di cui ci siamo dotati). Una specie di versione laica del pensiero di sant’Agostino e in profonda sintonia con Papa Prevost. Non c’è il riferimento a Cristo come fondamento e prerequisito dell’unità a cui sono chiamati popoli e Nazioni europei per una precisa scelta di laicità e per non fondare l’unità europea su pilastri che appartengono ad una sola fede del nostro continente. Resta però il forte invito a riconoscere le nostre diversità come ricchezza e come risorse che preparano, che fondano e che rendono possibile l’armonia tra i popoli e la Pace

Il motto degli Stati Uniti d’America percorre altre strade, si fonda su altri presupposti e procede con un ragionamento opposto a quello europeo. Partiamo dalle parole: “E pluribus unum” (“Dai molti uno”). Ed il messaggio è molto chiaro: solo se le tante diversità che si incontrano nel convivere vengono “centrifugate” insieme, si ottiene il prodotto finale che annulla tutte le differenze per costruire una sola sintesi. Unica e valida per tutti.

Schemi opposti: da parte dell’Europa c’è la richiesta di fare delle “diversità” il fondamento del pluralismo (per vivere pienamente la comunione). Dall’altra parte dell’Oceano – quella degli Stati Uniti d’America – l’invito è a “sciogliere” ogni diversità per dare vita ad un nuovo e unico risultato o “prodotto”. Ed ecco la prima simpatica novità: il Papa nato negli Stati Uniti d’America non assume il motto del suo Paese d’origine per presentarsi al mondo, ma chiede al passato e a un vescovo del nord Africa una sintesi efficace per proporre uno schema coraggioso e diametralmente opposto a quello americano: lavorare insieme – come chiesa, come chiese e come laici – per costruire, insieme, i “ponti” necessari per generare Pace e per incontrare nella diversità dell’altro il volto che mi spiega chi sono e che mi salva dall’egoismo e dalla guerra.

Lo sappiamo: le idee non stanno mai sospese per aria, ma camminano sempre sulle gambe delle persone e si nutrono del cuore e della mente del soggetto che le porta avanti. Da adesso in poi sarà interessante verificare come queste tre concezioni dell’unità e della Pace (di Papa Leone XIV, dell’Europa e degli Stati Uniti d’America) dialogheranno tra loro e impareranno a confrontarsi e a correggersi a vicenda.

Sapendo fin da adesso, per fare qualche esempio, che: a chi prepara la Pace con la guerra, Papa Leone proporrà il coraggio di una “Pace disarmata e disarmante” come unica strada per fermare l’odio, la violenza delle armi e per costruire convivenza nel segno della fraternità.

A chi vuole fare grande la “sua” Nazione (solo la sua nazione sopra le altre!), Papa Prevost ricorda che bisogna fare “grandi ponti” tra i tutti i Paesi del mondo perché cresca quella voglia di giustizia che ferma le guerre e che aiuta a vivere nell’accoglienza reciproca e nella Pace.

A chi ripete, come un disco rotto, “prima i nostri”, Leone XIV chiede di costruire “ponti” perché nessuno venga tenuto lontano dalla terra della dignità, della speranza e della giustizia, “senza nessuna classifica del nostro amore per gli altri” (card. Prevost in risposta a Jd Vance che avrebbe voluto imporre gerarchie di amore tra vicini e lontani).

A chi vuole difendere Dio, Patria e Famiglia i cardinali ci hanno ricordato che lo Spirito Santo è ancora abbastanza in grado di guidarci e di ricordarci che avere più patrie – come il nostro neo Papa – non è indice di povertà, ma segno di ricchezza interiore e di grande umanità. Senza mai dimenticare, inoltre, che chi va difeso è il debole, non Dio e nemmeno la chiesa (a questo ci pensa Lui!).

Riuscirà Papa Leone ad attuare quel Concilio Vaticano II che deve ancora essere pienamente recepito dalle nostre comunità ecclesiali e ad attuare quella riforma sinodale avviata da Papa Francesco, che è stata abbozzata nel Documento finale del Sinodo? Riuscirà il Vescovo di Roma appena eletto a rendere meno piramidale e meno verticistica la chiesa cattolica che, lungo i secoli, si è sovraccaricata di categorie legate a segmenti di potere che hanno, di fatto, nascosto la forza profetica e innovatrice delle sue radici evangeliche?

Ai posteri l’ardua sentenza, dirà qualcuno. “Insieme” devono rispondere i battezzati se vogliamo rendere vere le parole che lo Spirito ci ha suggerito in questo breve, ma denso e prezioso Conclave.

                   

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