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L'APPUNTAMENTO DI OGGI. Ore 15: ritorno a "Settegiorni", una rivista di frontiera

di Luca Rolandi


Con l’incontro che si tiene oggi al Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino, Palazzo Nuovo, Sala Seminari, via Sant’Ottavio 20, prosegue il lavoro di ricerca della Fondazione Carlo Donat-Cattin su “Settegiorni”. Dopo il convegno di Roma del 14 giugno dello scorso anno, presso la Biblioteca del Senato, nel corso del quale è stato presentato in anteprima il lavoro di digitalizzazione della rivista, la tappa torinese  intende dare corso ad una nuova fase del progetto di ricerca che ricostruisca puntualmente il ruolo della testata nel lungo periodo della sua pubblicazione. Il convegno, che vedrà la presenza di autorevoli studiosi e di alcuni importanti protagonisti della stagione di cui si stanno occupando, contribuirà alla progettazione dell’iniziativa il seminario. Al simposio subalpino interverranno gli storici Alberto Guasco,

Bartolo Gariglio, mentre i docenti Mauro Forno, Marta Margotti e Sergio Soave indicheranno le linee di ricerca. Importanti saranno le testimonianze di Pino Di Salvo sulla storia della redazione della rivista e di Giovanni Orfei, figlio del direttore Ruggero, Giorgio Merlo, Sandro Magister e Giangiacomo Migone.


Gli scopi che la Fondazione Donat-Cattin intende raggiungere sono molteplici alla luce del vasto campo di interessi non solo strettamente politici ma anche economici, culturali e artistici a cui “Settegiorni” prestò grande attenzione. Saranno delineati il ruolo politico e quello culturale svolto dalla testata in un periodo di grandi cambiamenti e di inusitata vivacità del dibattito all’interno del cattolicesimo politico e della sinistra italiana, entrambi interrogati dai cambiamenti sociali che esplodevano in quel periodo a partire dalle fabbriche, dalle università e dalle piazze. “Settegiorni” sarà anche indagato dal punto di vista giornalistico, la sua storia e il suo radicamento e negli aspetti innovativi a partire dalla vita di redazione e dal rapporto con i lettori. Un lavoro, di cui saranno pubblicate le ricerche, che consentirà di comprendere meglio un periodo cruciale della storia del nostro paese attraverso questa singolare esperienza giornalistica.


"Quale pace?", dopo la guerra tra Israele e Stati Arabi

Attraverso la lente dei 366 numeri di Settegiorni, pubblicati tra il 18 giugno 1967 (“Quale pace?” titola la prima copertina riferendosi alla guerra dei Sei Giorni e alla “vittoria maledetta” di Israele e il 7 luglio 1974 (“Supererà l’ostacolo?” titola l’ultima copertina, con riferimento alla crisi interna vissuta dalla Dc nel contesto del referendum di quell’anno, si dipana una storia breve ma intensissima di una rivista che resta unica nel panorama del giornalismo italiano. Questo potrebbe o dovrebbe essere il punto d’arrivo per una lavoro più complessivo, che intenda seguire le molte piste di ricerca possibili entro il patrimonio che oggi viene reso disponibile dalla digitalizzazione della rivista.

“Settegiorni” si muove lungo questa linea di frontiera - la Dc ha ancora un ruolo, l’unità politica dei cattolici è finita – che è più culturale che politica; ed è più politica che di corrente. L’avrebbero detto il direttore Ruggero Orfei e il suo braccio destro Piero Pratesi, indicando come scopo della rivista il “suscitare dibattito e creare cultura politica”. Lo stesso Carlo Donat Cattin nel 1980, nel libro-intervista La mia Dc (“la vita di Settegiorni fu sempre autonoma rispetto al gruppo di Forze Nuove”) e molto più recentemente Guido Bodrato ricordavano “Settegiorni” come un “organo di un’ipotesi culturale e politica, non di corrente”.


La crisi del 1972

La prima linea di confine e la crisi della testata avviene con le elezioni anticipate del 1972. Là dove, da un lato, il Movimento politico dei lavoratori (Mpl) inaugurato troppo in fretta da Livio Labor naufraga miseramente (120.000 voti, lo 0,36% del totale: l’opzione è bruciata); e dove, all’opposto, il Msi raddoppia i consensi (salendo dal 4,5% all’8,5%) e il governo – con il Psi che esce e il Pli che entra – si sposta a destra, anche se meno di quel che Almirante e altri ancora più a destra di lui vorrebbero. E il cerchio è completo.

Forse la fine dell’esperienza di “Settegiorni, come ricorda nella sua ampia relazione Alberto Guasco, si esaurisce con il tramonto di un’opzione politica, che con i buchi di bilancio – che pure ci sono, e la partita terribile che, come tutto il mondo cattolico, la rivista deve giocare all’epoca del referendum sul divorzio. La libertà di coscienza dei cattolici riconosciuta dal Vaticano II si afferma, ma scricchiola l’impalcatura d’una repubblica costruita, fin dai tempi dell’asse De Gasperi-Montini e sull’unità politica dei cattolici, che perdono una battaglia fondamentale, non comprendendo i cambiamenti del mondo e anche della Chiesa, oltre la cristianità perduta che Scoppola seppe interpretare in un suo fortunato saggio.

 


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