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L'APPUNTAMENTO DI OGGI. Mediterraneo, ponte di speranza

di Younis Tawfik

Alle 18 di oggi, 24 novembre, al Centro culturale Dar al Hikma di Torino, Andrea Giorgis, senatore del Pd, e Younis Tawfik, scrittore, giornalista, membro del Comitato Regionale del Piemonte per i Diritti Umani, affronteranno il "tema dei temi" del secolo XXI: le migrazioni. Lo spunto è dato anche dal libro di Tawfik, ultimo in ordine di tempo, La sponda oltre l’inferno, che pubblicato nel 2021, mantiene per intero la sua drammatica attualità. In un "francobollo", e alla vigilia della giornata contro la violenza sulle donne, Younis Tawfik ci ricorda la spaventosa e comune condizione delle donne migranti che affrontano la traversata del mare Nostrum. Migliaia di donne che nel Mediterraneo vedono un ponte, il ponte, non soltanto per spiccare il volo verso la libertà, ma per dare con la loro sofferta esperienza un contributo all'emancipazione dell'universo femminile costretto a combattere ogni giorno, giorno dopo giorno, secolari retaggi culturali.


Si parla di vite, di persone vere che hanno una loro storia, sogni, speranze e futuro e non di numeri che spiccano sulle pagine dei giornali come fantasmi che infrangono le regole e lacerano i nostri confini. Cinque racconti simbolo che riassumano la sofferenza di tanti altri. Racconti reali di fatiche, torture e passi in un inferno terrestre.

L’inferno libico, il cui prezzo è diverso, se sei donna, come Fnan. «Bella come la speranza», che vuole solo vivere, avere un’altra possibilità. Che non chiede altro, dopo essere scappata da quel paese abitato di soldati, l’Eritrea, in cui l’obbligo militare riguarda indistintamente uomini e donne. Uno stato in cui l’adolescenza non esiste e la colonna sonora è una marcia militare che inizia a 17 anni ma non si sa quando finisce.

Per Fnan, come per tanti altri, l’orizzonte Italia non è meta, ma punto di partenza. Ha vissuto di tutto e da tutto si è fatta attraversare. La violenza subìta non le appartiene, è qualcosa che determina chi gliel’ha fatta, non lei. Lei sente il dovere di andare, costruire, in nome di chi quella possibilità non l’ha avuta, non l’avrà mai. È lei che salva la madre di Hassan, altro sopravvissuto alla traversata, partito dal Darfur (Sudan) con la mamma, altra vittima di stupro.

Madre, che subisce violenza davanti a chi ha messo al mondo e a cui rimane la forza solo di accarezzare il viso di quel figlio. Madre che sapeva di raccontare una bugia ogni volta che lo ha rassicurato che sarebbe andato tutto bene in quel viaggio dove, in realtà, non puoi determinare nessuna alternativa. In cui l’unica certezza è che sei in balìa dell’incognita della morte.

Un tempo, questo delle loro storie, senza tempo, eternamente sospeso, sia quando è attesa e prigionia sia quando è mare e onde. Quelle onde da cui il siriano Marwan salva Hamid, prendendolo per i capelli. Lui che era partito da Tripoli con tutta la famiglia e tutta l’ha persa nel mar Mediterraneo; che a quel mare avrebbe voluto abbandonarsi, perché il pensiero è rimasto là sotto, come la sua anima che non si dà pace. Ma sono sopravvissuti e hanno il dovere di vivere.


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