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Insieme per Daniele Franchi: diamo corpo alla Borsa di studio

Aggiornamento: 19 mar

di Corrado Vitale

 

Daniele Franchi non è una persona che ”si ricorda”, come si fa di solito parlando di qualcuno che ci ha lasciato. Daniele è piuttosto un amico di cui “si parla” come di qualcuno che casualmente al momento non è con noi, ma fa parte della nostra vita. Per me è difficile parlare di lui senza apparire retorico, cosa che lui peraltro aborriva, essendo uomo di assoluta concretezza. Perché Daniele, se avevi il privilegio di diventarne amico, ti si imprimeva nell’anima, lasciandoti per sempre qualcosa di sé.

Non mi stupisce dunque che il collega Roberto Prota ne abbia parlato con una delicatezza fuori dal comune per prefigurare un'idea, romantica e ambiziosa a un tempo, che molti di noi, medici del Mauriziano e non, condividono e si auspicano: l'istituzione di una Borsa di studio a suo nome.[1] Sarebbe un gesto significativo e, mi si permetta, anche una risposta di alto profilo a chi lo ha combattuto dalla parte del torto, torto marcio, come hanno dimostrato poi i verdetti della magistratura giudicante.

Infatti, ho conosciuto Daniele Franchi una ventina di anni fa, in occasione di quelle che in molti ricordiamo come “le vicende mauriziane”, quando il variegato mondo della politica piemontese decise che si poteva tentare di affossare l’Ordine Mauriziano, per fini che di nobile non avevano nulla e molto invece di motivazioni infondate.

Daniele non apparteneva alla tradizione del Mauriziano, essendone venuto in contatto soltanto poco tempo prima delle “vicende” sopra citate, quando fu nominato Consigliere dell’Ordine. Nonostante ciò, ne fu il più appassionato e tenace difensore, ben più di altri che invece vantavano una lungo cammino in seno dell’Ordine stesso. Questo, essenzialmente per due motivi.

Il primo è che Daniele aveva una capacità fuori dal comune di destreggiarsi con “i documenti”, espressione che lui pronunciava scandendone le sillabe, per sottolinearne la differenza rispetto alle “parole” di narrazioni spesso strumentali. Di fatto, di documenti che provavano le ragioni del Mauriziano ce n’erano molti, disponibili soltanto grazie alla sua lungimiranza di procurarsene una copia prima che il corso dell’inchiesta governativa li rendesse irraggiungibili.

Il secondo motivo è che Daniele, purtroppo per i suoi antagonisti, non aveva quegli “scheletri nell’armadio” che impediscono a molti di essere credibili nelle proprie argomentazioni. Per la questione Mauriziana, Daniele si trovò di fronte ad avversari spregiudicati, capaci di ricercare il più recondito punto debole della propria controparte per fiaccarne ogni resistenza. Ad essi Daniele poté contrapporsi a testa alta, con stessa tenacia già dimostrata nella sua vita politica, quando difendeva i diritti dei lavoratori italiani all’estero in nome di un ideale oggi quanto meno desueto: reagire, sempre e comunque, di fronte ad ogni ingiustizia. Si sentiva talmente partecipe della vicenda del Mauriziano, che la definiva “la mia battaglia”.  

Ricordo bene il nostro primo incontro, a casa sua. In un momento in cui la verità ufficiale sul Mauriziano era soltanto quella, di parte, diffusa dai suoi detrattori, Daniele aveva chiesto a Martino, un mio collega amico comune, la possibilità di parlare con un medico dell’Ospedale che fosse disponibile a conoscere meglio la verità dei fatti. Io all’epoca ero vicesegretario aziendale dell’ANAAO, il sindacato medico più rappresentativo, e partecipavo alle riunioni con i Commissari governativi incaricati di fare luce sulla contabilità del Mauriziano. In quel contesto, cercavamo di evitare quella profonda dequalificazione della struttura sanitaria che l’operato dei Commissari lasciava presagire.

Accettai quindi volentieri la proposta di Martino di incontrare “l’Ingegner Franchi, un consigliere dell’Ordine, una persona seria, che ha delle importanti informazioni”. Andai a casa sua uscendo dall’Ospedale nell’intervallo di pranzo, e ricordo che la prima cosa che mi chiese era se avevo bisogno di mangiare qualcosa, “magari un pomodoro”. Non so perché mi sia rimasto impresso questo particolare, ma mi piace vederci un insieme di attenzione per me mista a quell’essenzialità che avrei imparato a riconoscere in lui. Mi trattenni per qualche ora, ammirato dalla sua capacità di elaborare una grande quantità di informazioni con assoluta precisione e chiarezza.

Ci rivedemmo spesso, e mi vanto di essere stato tra i pochi che, nella grigia circospezione che in molti mostravano durante il commissariamento, non si vergognasse ad incontrarlo nei corridoi dell’ospedale. Avevo già capito che essere amico di Daniele, e non nasconderlo, era qualcosa di cui andare fiero, a prescindere da come si sarebbe conclusa la vicenda.           

Per Daniele, la “sua battaglia” era  “restituire dignità al Mauriziano e a coloro che ci lavorano”. Ho ancora ben impresso questo concetto, unitamente a quello di “tenere la schiena dritta” che era il suo motto caratteristico. Pur nella complessità della vicenda nel suo insieme, che non è qui il caso di rievocare nei dettagli, devo dire che Daniele ha raggiunto il suo obiettivo, e la targa commemorativa che gli intitola il Padiglione 1 del Mauriziano è un simbolo della gratitudine che gli è dovuta per quanto ha fatto non soltanto per noi medici, ma soprattutto per i pazienti, che anche in virtù del suo operato possono continuare a ricevere al Mauriziano un’assistenza di qualità eccellente.

Ho avuto l’onore di essere un suo sincero amico e di aver condiviso con lui tanti momenti anche di tipo familiare. I racconti di una vita spesa a coniugare l’eccellenza professionale (era un ingegnere metallurgico di competenza assoluta) con il desiderio di combattere a fianco dei più deboli (penso ai lavoratori italiani all’estero nei decenni del secondo dopoguerra) restano indimenticabili.

Oggi, Daniele è una delle più importanti “presenze” nella mia vita, e in alcuni momenti difficili, mi pare di sentirlo ripetermi di “tenere la schiena dritta” e poi non temere nulla e nessuno.

  

Note 




 

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