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Il Mappamondo, appunti di viaggio: il Myanmar

Aggiornamento: 29 dic 2022

di Pierfranco Viano

Il Mappamondo, dal latino mediovale “mappa mundi”, è la nuova rubrica de La porta di Vetro a cura di Pierfranco Viano, da oltre 40 anni accompagnatore di turisti in ogni angolo dei cinque continenti. Il Mappamondo lo potremo osservare con gli occhi di chi lo ha realmente girato con “animo zingaro”, è la definizione che ha suggerito l’autore, con la curiosità e la semplicità di condividere le emozioni, i sorrisi della gente, lo stupore dei bambini, ieri davanti all’obiettivo di una macchina fotografica, oggi più comunemente con l’immagine restituita in tempo reale dal cellulare. Ogni viaggio comunque affrontato “sempre con occhi nuovi”, con quello spirito che lo scrittore Marcel Proust aveva mirabilmente stilizzato: “il viaggio non consiste solo nello scoprire nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.


La prima puntata è dedicata alla Birmania, oggi Myanmar, terra bellissima e infelice, ritornata sulle prime pagine dei quotidiani e notiziari per il colpo di stato messo in atto il 1° febbraio scorso da militari infedeli al governo legittimo. Un putsch che ha soffocato le libertà civili e politiche nel Paese con gli arresti della leader Aung San Suu Kyi, del presidente Win Myint, di altri esponenti del partito al governo e culminato con lo scioglimento del Parlamento eletto nel 2020. Preso il potere, le Forze armate del Myanmar (Tatmadaw), che risponde al comandante in capo delle forze armate Min Aung Hlaing, ha dichiarato lo stato di emergenza. Al golpe si è contrapposto la reazione popolare repressa con la violenza e l’instaurazione della legge marziale.

Secondo l’Assistance Association for Political Prisoners, i militari hanno ucciso oltre 800 civili, mentre non si ha notizia di centinaia di persone scomparse, sul modello dei sanguinosi colpi di stato in Cile (1973) e Argentina (1976). Più di 4 mila oppositori sarebbero in carcere e decine e decine già destinati alla pena di morte. La repressione militare non ha abbattuto la resistenza che negli ultimi giorni si è anche manifestata nei centri urbani.A Mandalay, la seconda città del Paese per popolazione, si sono registrati alcuni scontri armati, in seguito a più perquisizioni dell’esercito alla ricerca di esplosivi. Sull’esito delle sparatorie non sono filtrate notizie attendibili, ma è certo che reparti dell’esercito sono stati inviati a presidiare Mandalay che tende ad avere sempre più il volto di una città militarizzata, mentre il Myanmar scivola nella guerra civile. L’ambasciata statunitense in Myanmar ha diramato una nota in cui ha espresso preoccupazione per l’escalation militare e ha sollecitato la fine delle violenze


Myanmar in passato noto come Birmania è una nazione del sud est asiatico con più di 100 gruppi etnici confina con l’India, Bangladesh, Cina, Laos e Thailandia. La capitale è la città di Naypydaw ma prima era stata Rangoon ora Yangon. Si arriva sempre all’aeroporto di Yangon. La prima volta che visitai il Myanmar allora Birmania fu nel 1985 e il Paese – come oggi – era sotto il tallone della dittatura militare. E allo straniero era concesso un permesso di appena 7 giorni. Nel 1985 fu come un salto nel vuoto, perché la Birmania era uno stato arretrato e impreparato al turismo. Le città erano fatiscenti, gli hotel erano tali soltanto sulla carta e mancava il cibo. Ma, dinanzi alla meraviglie dei luoghi, qualunque sacrificio sembrava ed era tollerabile. Un po’ meno la corruzione dilagante che si presentava già con la divisa dei funzionari doganali dell’aeroporto della capitale, ai quali dovevi consegnare sigarette, whisky, profumi acquistati nei negozi dello scalo di Bangkok, per evitare di stazionare ore e ore in attesa dei visti d’ingresso. Ora, naturalmente, il primo impatto è sideralmente diverso: il Myanmar è una meta molto visitata e gode di moderne infrastrutture alberghiere e non, cibo per tutti e fino a ieri, anche maggiore libertà. Un problema che si è aggiunto a quello universale.

Ricordo il fascino di vedere i monaci passare indisturbati, gli uomini che indossavano come ancora adesso il longyi, tipico capo d’abbigliamento locale unisex analogo alle infradito. Ricordo che per visitare i templi bisogna entrare del tutto scalzi. All’epoca, si era liberi di acquistare anche oggetti di pregio in cambio di profumi, shampoo, saponette, articoli ancora rari.

Archiviato il piacevole amarcord, passo alla descrizione di almeno tre perle imperdibili del Myanmar.


Si inizia da Yangon con la Shwedagon Paya (tempio buddhista), zedi o stupa, nomi che indicano i reliquari contenenti le reliquie del Buddha. In Myanmar si segue il buddismo Theravada (picccolo veicolo) a differenza di altri Paesi buddisti dove prevale la corrente Mahayana (grande veicolo). Infatti, questo stupa il più sacro nel Paese, alto 99 metri e ornato da tonnellate di foglia d’oro, migliaia di diamanti e pietre preziose, custodirebbe otto capelli del Buddha Gautama e le reliquie di altri Buddha precedenti.


È bellissimo visitarlo al tramonto quando la luce fa assumere allo stupa un colore caldo, avvolgente. Oggi si sale alla terrazza con un ascensore e si rimane sbalorditi davanti alla grandezza dello stupa, alla presenza dei visitatori e fedeli locali. Si potrebbe rimanere ore.

Qui si possono vedere persone che pregano, che portano offerte, donne che ramazzano la terrazza, bimbi di cui colpisce sul viso la thanaka, crema cosmetica di colore giallo-bianco che serve per proteggere la pelle dal sole, utilizzata anche dalle donne come cosmestico di bellezza.


Il lago Inle, candidatura a riserva della biosfera UNESCO.

Luogo eccezionale dove si vedono villaggi su palafitte e orti galleggianti. Templi buddisti e pescatori che sospingono le loro barche con una tecnica singolare: manovrando il remo con una gamba e reggendosi in equilibrio sull’altra. Vari centri del lago ospitano a rotazione un mercato galleggiante. Esistono anche mercati sulla terra ferma. I turisti qui possono acquistare sete meravigliose. Bellissimo il tramonto visto dalle terrazze degli alberghi.




Bagan, l'antica capitale della Birmania


L’antica Pagan, area archeologica, che un tempo ospitava almeno 5000 templi è un posto incantevole, dove ci si sposta con pulmini da uno stupa all’altro. Ora dei 5000 ne rimangono circa 2000 di varie fogge; il più importante è lo Shwezigon Paya. A metà degli anni Ottanta, ci si spostava in calesse immersi in un’atmosfera indescrivibile e sedotti dal romantico tramonto sul fiume Irrawaddy che cambiava il colore dei templi. Sempre in quel decennio, si poteva anche salire su qualche stupa, ma l’imprudenza dei turisti, che ha provocato numerosi incidenti, ha poi costretto le autorità a vietarne la possibilità. Nelle prime esperienze a Bagan, era una gioia fuori dal comune lo spettacolo di marionette organizzato la sera in qualche villaggio. Era un divertimento unico attraverso il quale si viveva il costume e le abitudini dei birmani, senza intermediazioni posticce dedicate ai turisti.


Erano spettacoli unici e autentici in cui il piacere era circolare, passava dai bambini agli adulti e viceversa in una dimensione fuori dalla nostra realtà. Oggi a Bagan si possono organizzare la mattina presto o la sera sorvoli in mongolfiera per ammirare l’area e ammirare il levarsi o il calare del sole e i riflessi diversi che la luce assume sui templi.





Se si vuole entrare nello spirito del Myanmar e nella sua drammatica storia attuale suggerisco la lettura di tre libri:


Cecilia Brighi, La sfida di Aung San Su Kyi per la nuova Birmania, Eurilink 2017

Ann Rose Nu Thawng e Gerolamo Fazzini, Uccidete me, non la gente. La suora coraggio del Myanmar racconta la sua storia, Editrice missionaria italiana, 2021

Wendy Law-Yone, Il seme del papavero, Rizzoli 2010

Il cinema ha attraversato il Myanmar con la pellicola diretta nel 2011 da Luc Besson, The Lady, l’amore per la libertà, che si ispira alla vita Aung San Suu Kyi, con Michelle Yeoh nel ruolo della protagonista

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