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  • Menandro

Il 25 settembre di Giorgia Meloni

Aggiornamento: 27 set 2023

di Menandro

"Il 25 settembre di un anno fa dagli italiani arrivava una indicazione chiara: un governo di centrodestra a guida Fratelli d'Italia. Abbiamo dato il massimo per raggiungere la vittoria, consapevoli che quella non sarebbe stata un punto d'arrivo ma un punto di partenza. A distanza di un anno non mi sento di fare ancora bilanci, quello spetta ai cittadini. Ma una cosa la posso dire: avevo promesso di consegnare un'Italia migliore di come l'avevo ricevuta e posso affermare che oggi la nostra Nazione è più credibile, stabile e ascoltata".

A scriverlo, ieri, è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. E gli italiani non potranno che essere soddisfatti del suo convincimento. A volte, edulcorare la realtà aiuta a vivere meglio. Nel caso della presidente Giorgia Meloni c'è la convinzione di avere reso la nostra nazione più credibile, stabile e ascoltata.

Ora, è sotto gli occhi di tutti che la situazione vera, nonostante i sorrisi, i baci, le occhiate compiaciute che la presidente del Consiglio dispensa nelle occasioni pubbliche ai pasdaran di corte, che prontamente ricambiano con le ola d'ordinanza, mostra più di una slabbratura. E sono pieghe rovesciate color sangue che inducono a suggerire, cautamente sia chiaro, qualche riserva sulla superiore credibilità acquisita rispetto al 26 settembre 2022.

Sia altrettanto chiaro che non lo si vuole sostenere in forza di freddi numeri di rapporti e statistiche, comunque numerosi e visibili con un semplice click sul web. L'elenco, chilometrico, è oggettivamente ansiogeno, e quindi non lo consigliamo per l'affetto che nutriamo verso i nostri lettori. Purtroppo, però, non esiste antidoto, in questo caso altrettanto "credibile" - non vogliamo tradire il vocabolario prediletto della presidente Meloni - per non disancorarsi dalla realtà. A meno di travestirsi da cantastorie per la gioia di bimbi e adulti. E qui, gli argomenti cadono come mele vicino all'albero, e si può celiare davvero su tutto e il contrario di tutto. A cominciare dal debito pubblico astronomico che ci fa vedere le stelle che, come dice l'altro greco della compagnia di giro della Porta di Vetro, l'amico scienziato e filosofo Galeno, sono "milioni di milioni", appunto miliardi, ma di euro, oltre 2.800. E, a seguire, c'è ora lo spread più che mai tentato di salire sull'ottovolante dell'instabilità insieme ai mercati finanziari che subiscono la fragilità della nostra economia; per non parlare delle aziende che chiudono e delocalizzano, e quelle pubbliche in crisi, sulla cui sorte il governo non sa offrire risposte convincenti a sindacati e lavoratori; no dimentichiamo la panacea di tutti i male, il PNRR, che ha nel ministro Raffaele Fitto il miglior esegeta della complessa materia, così erudito da spiegarci un giorno sì e un altro ancora che si tratta di "un obiettivo chiave, che si può completare tutto entro tre anni”, che è ad un tempo occasione di crescita e grande sfida per la Commissione europea, senza però mai dirci come tutto questo si potrà realizzare.

Infine, a disposizione della presidente Meloni, c'è la madre di tutte le fiabe, quella che il denaro non rende felici. Allora, che cosa c'è di meglio, in fatto di autentica credibilità, a rendere felici i quasi 6 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà? Tutti "poveri, ma (anche) belli"?, come nei film di fine anni Cinquanta, protagonisti Maurizio Arena e Renato Salvadori, con il maestro Dino Risi in regia che si "divertiva" a prendere per il naso la censura giocando sulle pose in costume da bagno sul Tevere delle belle Marisa Allasio, Alessandra Panaro, Lorella De Luca di una commediola innocente? E, soprattutto, socialmente meno pericolosa e più rassicurante di "Umberto D", capolavoro di Vittorio De Sica, storia di un pensionato povero e distante dalla felicità, più vicino alla canna del gas, nel senso letterale del termine; film, annotazione da storia del cinema italiano, che raccolse le lagnanze dell'allora sottosegretario allo spettacolo del non ancora divo Giulio Andreotti, indispettitosi - era ancora giovane, ma già tanto potente - per la rappresentazione che dava dell'Italia all'estero.

Con questi precedenti, non sarà improbabile vedere anche la presidente Giorgia Meloni dietro la macchina da presa sul set cinematografico con una sua personalissima produzione e versione di "Poveri, ma belli", nuovo Ventennio. Del resto, per gli attori non ha che l'imbarazzo della scelta: dal ministro Lollobrigida, cognome che è già una garanzia e che non aspetta altro di essere diretto come nel governo, all'edonista macho del Papeete, per i ruoli che furono di Salvadori e Arena. Ma qui ci fermiamo, più per attenzione che per prudenza, perché sappiamo che sulle interpreti femminili la presidente non ama suggerimenti. E la si può comprendere.

Dunque, indubitabilmente credibili e stabili e quindi, ovvio, ascoltati. Per la verità, questo era stato anticipato mesi fa dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti alla Festa dei Patrioti a Palombara. Il suo intervento era stato perentorio, quasi imperiale, anche se non aveva citato i colli fatali di Roma: "Giorgia Meloni ha dimostrato che ‘l’italietta’ è andata in pensione. Oggi infatti c’è un’Italia rispettata, che va a testa alta in tutto il mondo. Questo è il nostro valore aggiunto". Titoli di coda all'insegna di "tireremo diritto".

Da chi sia rispettata, la ex "italietta", l'abbiamo notato: la Francia, per esempio, è nella hit parade dei nostri interlocutori (e dei nostri partner commerciali), ed è così attenta a ciò che dice il governo Meloni da andare periodicamente in overdose, da sbroccare e di brutto. Però, come sostengono i migliori analisti del Bel Paese, il legame con Parigi è indissolubile. E oggi se ne è avuta la conferma (fino alla prossima buriana sui migranti) con l'ennesimo ed enfatizzato faccia a faccia oggi a Roma tra Giorgia Meloni e il presidente francese Emmanuel Macron. Dietro l'angolo, comunque, se le tensioni vanno oltre il limite di guardia, c'è sempre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ci mette una pezza.

Sarà lo stesso con la Germania, dopo il caso e il conflitto sui finanziamenti alle Ong, considerati gli ottimi rapporti del Quirinale con l'omologo tedesco, con cui si è incontrato di recente. Insomma, la presidente Meloni è tutto un successone in campo internazionale. E' vero, come si sa, che litiga con le cosiddette locomotive d'Europa, ma questo nello scenario superato, stantio, vecchio, dell'Unione Europea, dove Francia e Germania sono destinate a contare sempre meno per fare spazio al nuovo che avanza, lo vogliamo dire senza ambasce, gli amici destrorsi e sovranisti d'Ungheria e di Polonia.

Non a caso, secondo le dichiarazioni raccolte dalle agenzie ieri, la presidente Meloni ha sentore che i traguardi sono oramai prossimi e che "il 2024 sarà un anno molto importante" e non soltanto sul piano internazionale. Sarà "l'anno delle grandi riforme di cui questa Nazione ha bisogno: la riforma fiscale in primis, ma anche l'avvio della riforma costituzionale e quella sulla giustizia. E poi, la grande riforma del merito, in particolare nella scuola. Di fronte a noi abbiamo un grande lavoro da fare ma questo è ciò che faremo nel rispetto degli impegni presi con gli italiani. L'Italia ha scelto noi e noi non la tradiremo".

Marcetta finale d'incoraggiamento con coro che sale in piccionaia: "Vincere, vincere, vincere, e vinceremo per terra, mare e cielo..."



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