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Covid-19: tutti coinvolti, ma qualcuno più di altri

di Menandro|

Il direttore de La Stampa Massimo Giannini, colpito dalla Covid-19 e ricoverato in un reparto di terapia intensiva, nel suo editoriale di ieri1 ha lanciato il severo monito, “ci crediamo assolti, invece siamo tutti coinvolti”, che ci ha ricordato molto da vicino anche il passaggio di una storica – e a questo punto quanto mai istruttiva – poesia di Fabrizio de Andrè, la “Canzone di maggio”. La ricordate? S’iniziava così:


Anche se il nostro maggio Ha fatto a meno del vostro coraggio Se la paura di guardare vi ha fatto chinare il mento Se il fuoco ha risparmiato Le vostre Millecento Anche se voi vi credete assolti Siete lo stesso coinvolti

E coinvolti, in una fase così drammatica per il Paese lo siamo davvero tutti, senza distinzione alcuna, seppur con responsabilità diverse. Ma siamo altrettanto arciconvinti che il pensiero di Giannini nasca anche dal desiderio di una sincera e onesta autocritica professionale da parte del direttore di uno dei più importanti e autorevoli quotidiani italiani. Dal suo privilegiato vertice di osservazione, infatti, immaginiamo che Giannini sia voluto andare oltre le parole, come nel famoso film con Kevin Costner “Le parole che non ti ho detto”. In sostanza, le parole che i mass media avrebbero dovuto dire con schiettezza agli italiani durante l’estate, anziché piegarsi alle ottimistiche interpretazioni ritagliate (e male) sui dati della diffusione del virus. Cifre ufficiali del Centro Tecnico Scientifico Covid che descrivevano la diffusione del Coronavirus in netta regressione, ma non – distinguendo i fatti dalle opinioni – come il segno di un virus ormai “inerte” o “domato”. Anzi. Proprio la modestia dell’invadenza del virus rispetto ai picchi di marzo e aprile, avrebbe dovuto sospingere l’informazione – in una corretta interpretazione del senso della conseguenza – ad invitare il governo, le regioni, la politica più in generale, a mantenere alta la guardia. Se non altro per non creare pericolose illusioni di un imminente ritorno alla normalità tra la popolazione, ed evitare così ai cittadini imprudenti amnesie sui rischi reali che si corrono in tempi pandemici, quando non esistono contromisure adeguate come un vaccino ad hoc. Un’informazione critica e attenta, non piegata ad interessi di parte e non timorosa delle reazioni dei suoi stessi lettori ed ascoltatori, avrebbe potuto dire, per esempio, che il ritorno del Coronavirus non avrebbe trovato il Paese nelle stesse condizioni della primavera scorsa, cioè moderatamente ottimista per la ripresa economica (per quanto timida), ma appesantito e sfiancato dalle paure e dalle preoccupazioni, con imprese commerciali boccheggianti, industrie con lavoratrici e lavoratori in cassa integrazione, e possibili isterie collettive negazioniste e non dietro l’angolo. Quindi, un Paese più fragile, più esposto e meno reattivo ai contraccolpi economici e psicologici. L’informazione avrebbe dunque dovuto svolgere il suo ruolo primigenio di incalzare il potere; chi, per esempio, nei mesi estivi ha trascurato di pianificare alternative ai trasporti pubblici; chi ha creduto di non aver nulla da imparare per essere stata nominata ministro della Pubblica istruzione; chi ha negato che fosse necessario ridisegnare la mappa organica degli ospedali in rapporto ai bisogni di un’emergenza; chi ha preferito mettere la testa sotto la sabbia piuttosto che regolare fino in fondo il rapporto di supremazia costituzionale dello Stato sulle regioni e su quanti, affetti da megalomania senile e galoppante, si autopromuovono governatori alla stregua dei rivoluzionari messicani alla Pancho Villa. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, ma ci si ferma qui. L’informazione, come ha dimostrato l’intervento di Giannini, ha deciso di cambiare registro. _______

1 M. Giannini, Ma un giorno questo dolore ci sarà utile, La Stampa 18 ottobre 2020

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