Askatasuna, il "dialogo" rimane la solita guerriglia urbana
- Vice
- 3 giorni fa
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Aggiornamento: 15 ore fa
Scontri con la polizia, nove agenti feriti
di Vice

L'appuntamento è per il primo gennaio. Inizio di un anno di lotte. La promessa è degli antagonisti dell'Askatasuna e dintorni, moderatamente soddisfatti di avere disegnato l'ennesimo pomeriggio di guerriglia urbana a Torino per protestare contro lo sgombero del centro sociale. Bilancio: sette agenti feriti, saliti a nove secondo le ultime notizie. È il prezzo da pagare, aveva scritto profeticamente qualche ora prima della manifestazione il sindacato Silp-Cgil, quando "la gestione della città smette di essere un servizio alla comunità e diventa uno strumento di propaganda, con un costo umano altissimo che ricade interamente sulle forze di polizia". Forze che per quante sindacalizzate non sono quelle degli albori della stagione sindacale insieme con Cgil, Cisl e Uil. Altre generazioni, altre sensibilità con cui ci si deve misurare nell'interpretazione dello scontro sociale. E non è facile. Anzi. Se si segue la traiettoria dei reparti mobili, si scopre un altro mondo. E non si tratta della Celere di Scelba. Quanti sono i sindacati di polizia intenzionati a riprendere il dialogo su un piano di democrazia agita e condivisa?
Il clima di vigilia non doveva tradire, e nulla è stato fatto per evitare il tradimento: chi ha deciso di indossare il marchio riconoscibile del disordine per il disordine lo ha fatto. Così pure quello dello scontro muscolare come unica forma di rappresentazione della realtà e, soprattutto della "paura per continuare a fare paura". Affermazione quest'ultima, resa oggi pubblica, aperta e spavalda.
"Il ministro Piantedosi ci troverà a ogni angolo delle città" è stato il messaggio di chiusura della manifestazione davanti alla Gran Madre, la chiesa oltre il Po, lasciata alla spalle piazza Vittorio Veneto. Parole di sfida al Viminale, con quell'uso di un plurale che prefigura una violenza diffusa, in cui la paura deve diventare una costante e la giustificazione di ogni intervento della forza pubblica.
Niente di nuovo, omnia transit. Era così nei primi anni Settanta, con l'evolversi della contestazione sessantottina. Allora lo scontro sociale esasperato e rabbioso era proprietà degli Autonomi, che vedevano nei sindacati e nello specifico nel Partito comunista di Enrico Berlinguer il nemico da colpire. Un nemico ancorché da demonizzare nella fase del compromesso storico e dell'incontro con la Democrazia cristiana guidata da Aldo Moro. Ciò che ne seguì, proseguendo per schemi, fu il terrorismo.
Ora, siamo molto più schematicamente all'antagonismo di barriera, che nutre rancore verso "quattro politici da strapazzo", colpevoli di avere cercato una delega per risolvere il contenzioso (trentennale) di un immobile occupato senza averne diritto. Il tutto passa per "una scelta coraggiosa" che nelle strade si traduce in cassonetti bruciati, ipotesi di barricate, lancio di oggetti contundenti e razzi, il solito canovaccio di un eterno corpo a corpo con le forze dell'ordine per essere protagonisti. Di che cosa? Non si sa. Esce fuori dai radar.
La ragione è bandita, perché oggi come ieri, deve fare posto alla esasperazione costruita ad arte da pochi su cui condurre i ceti moderati (benpensanti), che non attendono altro, a scrivere sui social che si tratta di giovani "sporchi, brutti e cattivi" con i quali è inutile dialogare, e mettere all'angolo i progressisti e le forze di sinistra, cui non rimane che scaricare sul governo, e ne hanno pur qualche motivo, la responsabilità per avere fatto naufragare lo spirito di conciliazione. Nell'uno e nell'altro caso, c'è il rifiuto preconcetto ad abbandonare il terreno dell'illegalità e della violenza per favorire la repressione e poter affermare che con uno Stato dal volto feroce non si tratta. Ma qui non siamo nel Cile di Pinochet, né nell'Argentina di Videla o nel Brasile dei generali-gorilla.
Torino rimane una città laboratorio che per quanto abbia un sindaco-tentenna, nel solco della migliore tradizione sabauda, viene ahinoi da pensare, è sempre un primo cittadino che nei mesi scorsi ha pubblicamente dichiarato di volere invertire la rotta su Askatasuna e investire con nuovi progetti per ridare senso all'aggregazione, alla diversità culturale, intenzionato a non lasciarsi intrappolare da soluzioni opache proprio per non finire in un vicolo cieco e non ritrovarsi ostaggio di opposti estremismi.













































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