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Arriva Elly Schlein, ma sarà ancora il Pd?

di Stefano Marengo

Iniziamo con due dati. Il primo, numerico, riguarda la partecipazione al voto delle primarie, che stando agli ultimi aggiornamenti dovrebbe attestarsi a circa 1,1 milioni di elettori. Il secondo riguarda invece l’esito delle consultazioni, che per la prima volta da quando vengono celebrate hanno incoronato vincitore, anzi vincitrice, la candidata data inizialmente perdente.

Le considerazioni che si potrebbero fare sono molteplici. A caldo, tuttavia, è bene limitarsi agli aspetti più macroscopici. Per quanto concerne l’affluenza, se da un lato, guardando la serie storica, è evidente che queste primarie sono state meno partecipate che in passato (nel 2017 e nel 2019 si superò agevolmente il milione e mezzo di votanti), è anche verosimile che il milione e centomila che si è recato ai gazebo costituisca uno “zoccolo duro” di elettori che sono in ogni caso disposti a partecipare alle primarie.

Per quanto attiene invece l’inattesa elezione di Elly Schlein (che nelle aree urbane e nel nord del paese ha spesso raggiunto e superato il 70% di consensi), possiamo dire che a prevalere è stata la candidata che è stata percepita come portatrice di maggiore discontinuità rispetto al passato del Pd. Su questo aspetto è tuttavia bene essere prudenti e limitarsi a parlare, per l’appunto, di percezione dell’elettorato. Infatti, per loro natura (e per loro limite intrinseco), le primarie accendono i riflettori più sui candidati che sulle loro piattaforme politiche, e di conseguenza finiscono per premiare chi sa catalizzare meglio le aspettative degli elettori.

Con ciò, naturalmente, non intendo dire che la percezione di chi ha eletto Schlein sia sbagliata – le proposte della neosegretaria sono evidentemente quelle di maggiore rottura – ma semplicemente evidenziare lo iato, che non andrebbe mai nascosto, tra la scelta di un leader, che ha molto a che fare con un orizzonte di attese anche emozionali, e l’adozione di una linea politica ragionata e forte di un’analisi lucida e strutturata della realtà.


Prua sul Congresso

Con ciò veniamo alle vere questioni con cui Schlein dovrà adesso misurarsi. Questo congresso, al netto dei passeggeri entusiasmo elettorali, le consegna infatti un partito a pezzi che, anche di recente, ha dato provo di essere sconnesso dalla realtà. A questo proposito è più che significativo che Schlein abbia prevalso nel più ampio elettorato dem, mentre Bonaccini l’abbia spuntata, e non di poco, tra gli iscritti. Per la nuova segretaria trovarsi alla guida di un partito che la vede in minoranza tra i tesserati sarà un bel grattacapo. Vedremo se e come sarà in grado di gestire questa situazione.

Ma la vera sfida che attende Schlein sarà quella di dimostrarsi autonoma rispetto ai suoi stessi grandi elettori, ossia a quei pezzi di nomenclatura dem (da Franceschini a Orlando a Boccia) che ne hanno sponsorizzato l’elezione. In questo caso è bene non farsi illusioni. Se la percezione di discontinuità che Schlein incarna è indubbiamente reale, è altrettanto vero che alle sue spalle si trovano potentissimi capibastone che hanno governato il Pd nell’ultimo decennio (conducendolo a innumerevoli sconfitte) e che ancora lo governeranno nel nuovo corso.

Come abbiamo più volte ribadito su La Porta di Vetro, la sostanza politica di questo congresso, indipendentemente dai candidati alla segreteria, è stata la perpetuazione della solita classe dirigente. La situazione, peraltro, è resa ancora peggiore dal fatto che il Pd da tempo non è di fatto distinguibile dalla sua presenza negli organismi elettivi. In altri termini, le vere leve del potere non stanno nel partito, ma nei gruppi parlamentari, e i gruppi parlamentari, salvo rarissime eccezioni, sono espressione della quintessenza del correntismo. Riuscirà Schlein ad avere ragione di tutto ciò? Glielo auguriamo, ma è al momento molto più probabile che finisca lei stessa per essere stritolata nelle logiche di potere che da sempre dominano il Pd.


Le vere attese della base

In ogni caso, non ci vorrà molto tempo per giudicare se il nuovo corso sarà effettivamente tale o una semplice riedizione del vecchio con qualche artificio cosmetico. Le primarie sanciscono una leadership ma finora hanno sempre finito, perversamente, per occultare dietro la logica plebiscitaria gli innumerevoli problemi politici in cui si dibatte la sinistra italiana.

Schlein dovrebbe tenerlo bene a mente e non assecondare questa deriva. Soprattutto, dovrebbe avviare con vera radicalità quell’autentico percorso di rifondazione sotto la cui specie è stato falsamente promosso questo congresso. Un percorso costitutivo che non potrà essere di basso profilo, puntando tatticisticamente alle “prossime elezioni”, ma che dovrà essere volto a dotare il partito di una vera identità e visione politica di sinistra, radicata nel contatto con il vivo della società e capace di articolare un’analisi complessa del mondo. È possibile che questo avvenga?

La storia del Pd non è di conforto. Il partito appare ormai irriformabile dall’interno. C’è quindi da essere più che scettici. Concediamo tuttavia a Schlein il beneficio del dubbio. Del resto, stando così le cose, saranno sufficienti pochi mesi per formulare un giudizio chiaro sulla sua segreteria.


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