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Addio maestro Eugenio Scalfari

di Michele Ruggiero


Inarrivabile. Anche nella morte, 14 luglio, anniversario della presa della Bastiglia, della Rivoluzione francese, quasi a volerci ricordare, qualora ve ne fosse bisogno, non tanto chi è stato, ma soprattutto che cosa ha rappresentato per il giornalismo e la cultura italiana nell'interpretazione di quei valori che gli erano cari: libertà, eguaglianza, fratellanza. Libertà nel suo essere liberale autentico, non dogmatico e per questo più di altri grandi direttori e giornalisti suscettibile di amori e invaghimenti politici, al punto da schierare più volte il giornale che aveva fondato nel 1976, la Repubblica, in particolare nell’età della Prima Repubblica, quella dei grandi partiti di massa, dei carismatici leader politici. Dei suoi principi su eguaglianza e fratellanza è testimone la sua lunga vita di giornalista in età repubblicana, dal Mondo all'Europeo, alla direzione dell'Espresso. La frequentazione di emeroteche costituirebbe un utili viaggio nell’eterogenea umanità che fu di Eugenio Scalfari.

Nato nel 1924, Scalfari ha vissuto 98 anni, intensi, di cui ha goduto ogni istante, anche sul piano personale, intimo, prima ancora che professionale, come egli stesso ha raccontato in un recente film-documentario "Non puoi farci pace" realizzato dalla figlie Donata e Enrica. Dialoghi in cui Scalfari si è rivelato autentico, in cui non ha celato la consapevolezza della sua grandezza, senza timidezza, affidandosi (e sostenuto) anche dai diritti che riserva la senilità. Nel suo caso, è doveroso riconoscere che anche in quella circostanza ha saputo maneggiare e padroneggiare quei "diritti" da fuoriclasse del giornalismo come della vita. Sit tibi terra levis, sia lieve la terra, maestro Eugenio Scalfari.

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