Un libro per voi: “Pattuglia senza ritorno”, di Elio Motella
di Marco Travaglini|
Mescolando abilmente realtà e finzione, l’autore tratteggia la vita sulla sponda occidentale del Verbano tra il 1893 al 1896, dove i protagonisti sono gli abitanti della costa alta piemontese del Verbano, i marinai e i militari della Guardia di Finanza del locale distaccamento, addetti al controllo lacuale con le torpediniere, gli “sfrusitt” (i contrabbandieri) che sfidavano leggi e autorità dedicandosi, tra fatiche e pericoli, al contrabbando, considerato a quel tempo una delle poche risorse per la sopravvivenza degli abitanti del lago.
“Pattuglia senza ritorno”, racconto storico di Elio Motella, propone – nel quadro di una ben congeniata storia d’amore tra la maestra elementare Assunta Pedroli e il fuochista di Marina Matteo Ferrari – uno dei misteri ancora insoluti del lago Maggiore: quello del naufragio della Locusta. La narrazione è costruita attorno a questo tragico evento realmente accaduto nella parte alta del lago Maggiore, quasi al confine tra le acque italiane e quelle svizzere, in una gelida notte d’inverno di fine ‘800.
Le rare foto d’epoca, a corredo degli avvenimenti, rendono intatta l’atmosfera dei luoghi e dell’epoca in quel lembo di terra di frontiera. Ma veniamo alla storia della Locusta, la torpediniera della Regia Finanza che affondò la notte tra l’8 ed il 9 gennaio 1896 dopo esser salpata dalla base di Cannobio per un normale servizio di pattugliamento sul lago Maggiore. Quello della Locusta è stato uno dei più grandi punti interrogativi delle vicende che hanno interessato la seconda superficie lacustre italiana. L’unità navale, classificata come “torpediniera costiera di quarta classe” (lunga 19,20 metri, capace di una velocità di 17 nodi e dotata di un cannone a ripetizione Nordenfeldt ) era stata acquistata dalla Regia Marina nei cantieri Thornycroft di Londra nel 1883, per essere imbarcata su navi da battaglia. All’atto pratico si dimostrò inadatta all’impiego bellico e quindi (insieme alle altre imbarcazioni simili) fu dislocata sul lago Maggiore e affidata alla Guardia di Finanza che la destinò al servizio di vigilanza doganale sul confine italo-elvetico.
Cannobio
Cosa accadde quella notte, è rimasto un mistero. Dalle cronache dell’epoca si evince che salpò da Cannobio in direzione di Maccagno, e il tempo era buono: “cielo sereno e lago calmo, con una fredda brezza spirante da nord dalla vicina Svizzera”. L’equipaggio era al completo con dodici persone a bordo: otto marinai della Regia Marina e quattro guardie di finanza. Stando sempre alla cronaca si trovavano a bordo anche un tenente, comandante del reparto di confine dei finanzieri, e un elettricista, che però sbarcarono entrambi poco più tardi, al valico di confine di Piaggio Valmara per effettuare un’ispezione a terra. Durante la navigazione notturna sul lago, all’improvviso, il tempo volse al brutto: si alzò un vento impetuoso con raffiche di tramontana e, subito dopo la mezzanotte, si scatenò una furiosa tempesta. Le acque diventarono agitatissime, le correnti impetuose mentre i lampi squarciarono il cielo gonfio di nubi nere. La Locusta, sorpresa dall’improvvisa burrasca e costretta a mutare rotta, si diresse verso la vicina Punta Cavalla sulla riva lombarda del lago, forse per cercare riparo dalla violenza della tramontana. Il riflettore della torpediniera venne avvistato da Cannobio per l’ultima volta poco dopo la mezzanotte del 9 gennaio 1896. Poi il buio e più nulla.
Non ricevendo risposta ai ripetuti segnali di richiamo lanciati da terra, venne subito fatta uscire dal porto la torpediniera-gemella – la “21T Zanzara”- per le ricerche immediate e l’eventuale soccorso ai naufraghi, ma nonostante la lunga e minuziosa perlustrazione su tutto lo specchio d’acqua tra Cannobio e Cannero (nel tratto occidentale della sponda piemontese), Maccagno e Pino (su quello lombardo), non venne trovata traccia di superstiti e nemmeno dello scafo. Il lago si era letteralmente inghiottito l’unità navale con tutto l’equipaggio di bordo. I dodici militari risultarono così “dispersi in servizio, nell’adempimento del dovere”.
Cosa accadde alla Locusta in quella tragica notte fu oggetto di molte ipotesi. Forse il natante venne “rovesciato da una raffica impetuosa” e le acque si rinchiusero sull’equipaggio “rifugiatosi sotto coperta per ripararsi dalla burrasca, tranne il capo-timoniere comandante, bloccato anch’esso, ma nella cabina di governo”. Non si poteva neppure escludere che “in quel momento fatale, furono i portelli aperti dell’osteriggio di macchina, a determinare l’allagamento dei locali di bordo”. E come non prendere in considerazione l’eventualità di “una esplosione delle caldaie esterne, dovuta ad un’onda improvvisa”. Supposizioni a parte, resta il fatto che tutte le ricerche e anche l’inchiesta che venne aperta non diedero alcun risultato tangibile.
Anche i vari tentativi intrapresi nel tempo, basati sulla ricostruzione della rotta e delle posizioni indicate dalle cronache dell’epoca, si conclusero senza troppa fortuna. Negli anni ’80 il relitto fu al centro di accurate ricerche in due occasioni: la prima con il batiscafo del celebre esploratore e ingegnere svizzero Jacques Piccard e successivamente con l’intervento di una unità della marina militare italiana, guidata da un ammiraglio, con l’intento di recuperare almeno il natante per esporlo al museo nazionale di Ostia. Ma, come già detto, ambedue le immersioni diedero esito negativo poiché il fondale del lago è coperto da grandi depositi di terra e di melma. E anche gli ultimissimi tentativi compiuti negli ultimi anni non hanno sortito alcunché.
A memoria dei dodici dell’equipaggio della Locusta resta una stele monumentale (un timone sorretto da putrelle di ferro sopra un blocco di pietra con i nomi delle vittime) realizzato sul Poggio delle Regie Torpediniere, nei pressi del porto militare della Guardia di Finanza a Cannobio. Elio Motella, con il suo “Pattuglia senza ritorno”, ha avuto il merito di riportare all’attenzione del pubblico questa vicenda.
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