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Punture di spillo: sulle orme di una globalizzazione buona

a cura di Pietro Terna|


La storiella non è mia: un immaginario protagonista del mondo delle big corporation del web racconta: “Ho inventato un business formidabile: vendo banconote da 100 dollari per 50 dollari. Subito la gente non si fidava, ma poi hanno capito che sono autentiche! Certo lavoro in perdita, ma il fatturato esplode e la finanza e la borsa mi coprono di denaro”.

Al di là dell’esagerazione, molte big tech sono cresciute grazie all’afflusso di capitali, nonostante registrassero ripetutamente perdite; non Apple, nata in un’epoca il cui il “ferro” contava e che comunque si era salvata vendendo brani musicali ben catalogati e a basso prezzo (epoca dell’iPod), ma per tutti gli altri – Amazon in testa – l’epoca della crescita senza limiti e dei bilanci in rosso è durata anni. È arrivata la pandemia e ci siamo trovati isolati, imparando a connetterci, intrattenerci, lavorare, riunirci, COMPERARE, tutto online: ecco che gli utili per le big tech sono arrivati copiosi! (Un suggerimento ai complottisti, così possono trovare nuovi bersagli: il virus che provoca la Covid-19 è stato preparato nella Silicon Valley). Il dramma è che la popolazione del mondo che ha potuto reagire alla pandemia usando i nuovi strumenti della rete è una minoranza; quella che ne ha beneficiato economicamente una minoranza della minoranza; quella che realmente ha raccolto i mega profitti, un gruppo ristrettissimo. A proposito della minoranza della minoranza, c’è chi ha scritto che, in questi anni di fermata dell’economia, le plusvalenze di Wall Street sono state il “reddito di cittadinanza” degli americani ricchi: rende l’idea. E gli esclusi? Ragioniamo guardando al mondo, che finalmente stiamo imparando a considerare casa comune. Secondo la teoria dei vantaggi economici comparati di Ricardo (1772-1823, pioniere dell’economia e accortissimo uomo d’affari) per rendere vantaggiosi per tutti gli scambi nel commercio internazionale non è necessario che un bene sia prodotto più efficientemente nel paese X che nel paese Y: anche chi è più bravo in tutto può trovare conveniente concentrarsi sulle produzioni in cui è super bravo e lasciare le altre a chi è meno bravo di lui. Si legge che il grande prof. Samuelson spiegasse la cosa dicendo: io so fare le fotocopie meglio del bidello del dipartimento, ma lui non sa insegnare l’economia; quindi è meglio che io mi dedichi a fare lezione e lui a produrre le fotocopie. Quando spiegavo la teoria di Ricardo a lezione non citavo l’aneddoto, perché tra paesi presume che destino e disuguaglianza siano immodificabili. In altri termini, il professore è professore per sempre e il bidello resta bidello. Oppure la Cina con la sua potenza economica e capacità di ricerca produce tutti gli apparati più utili e sofisticati e noi italiani li paghiamo operando come guide per i visitatori cinesi della Torre di Pisa e cuocendo per loro la pizza mentre qualcuno suona il mandolino e canta ’O sole mio. La razionale costruzione di Ricardo non agisce di fronte ai problemi del mondo reale. Sullo sfondo vediamo guerre, rivoluzioni sanguinose, dolore. Dobbiamo allora individuare alcuni punti fermi per la politica internazionale: 1. serve una globalizzazione buona, in quanto rispettosa delle persone con l’obiettivo primario dell’uguaglianza; da sola non si realizza, l’abbiamo ben visto; il potere che sta nell’Occidente del mondo è immenso: non possiamo accettare che coincida con la difesa dei privilegi a tempo indefinito; 2. l’economia non procede per processi lineari costanti, ma con accelerazioni e frenate; le divinità di oggi possono cadere, come i loro castelli di carta costruiti sulla sabbia delle quotazioni di borsa; 3. si stanno delineando gli strumenti per portare ordine nell’economia mondiale, con azioni di indirizzo e anche di pianificazione (si pensi all’energia e all’ambiente), rendendo possibili obiettivi un tempo impossibili.

Con quali strumenti? I grandi merchant online, come Amazon, Walmart, Alibaba crescono sempre più perché stanno imparando a governare l’economia tramite i dati, avvicinandosi al grande sogno del controllo dell’economia pianificata vissuto dall’Unione Sovietica, il cui fallimento è illustrato nella raccolta di racconti di Francis Spufford, L’ultima favola russa. Governo dell’economia con la pianificazione? Che sorpresa sarebbe per Enrico Barone – uno dei “tre di Losanna”, anche se meno citato di Léon Walras e Vilfredo Pareto – autore nel 1908 del saggio “Il ministro della produzione nello stato collettivista” in cui, in estrema sintesi, giudicava impervio il compito di quel ministro, condannato a decidere senza avere i dati del mercato e senza poter fare esperimenti su ampia scala. Ora i dati e gli strumenti del calcolo, della simulazione, dell’intelligenza artificiale ci sono, ma a usarli non sono i cittadini in forma collettiva, ma soggetti specifici. Un provocatorio libro di Phillips e Rozworski, uscito nel 2019, è opportunamente intitolato: “The People’s Republic of Walmart: How the World’s Biggest Corporations Are Laying the Foundation for Socialism”. Non la Repubblica popolare cinese, quella di Walmart. Ben venga l’azione dell’Europa, con il Digital Market Act, approvato1 dalla Commissione europea a dicembre del 2020 e finalmente divenuto effettivamente operativo il 24 marzo scorso, con l’accordo tra il Consiglio e il Parlamento europeo: il nuovo regolamento riguarda le grandi piattaforme digitali. cui impone regole ben precise per il rispetto della concorrenza nei servizi online. Le regole si applicheranno automaticamente a tutte le aziende interessate, senza dover attendere ogni volta a una denuncia di violazione, secondo la prassi europea precedente. Nella mia analisi aggiungo la proposta di un’altra azione in positivo che potrebbe essere promossa dall’Europa e dagli stati nazionali: la promozione di strumenti web alternativi a quelli dominanti. Dobbiamo imparare che non c’è solo Amazon per acquistare qualsiasi cosa, che non c’è solo Google per cercare informazioni e così via. Immagino una inedita forma di “Pubblicità progresso” come strumento2 che ci aiuti a differenziare i nostri comportamenti sul web. Ad esempio, nell’e-commerce gli strumenti per le imprese3 sono molti, ma se tutti cerchiamo solo su Amazon diventano inutili. Altrettanto importante, superare l’aspettativa che tutto ci debba essere consegnato nel luogo che desideriamo entro ventiquattrore. Infine accetta di pagare per le prestazioni nel web, invece di cedere inconsapevolmente i nostri dati. Se dobbiamo contrastare il controllo dell’economia da parte delle grandi corporation del web, dobbiamo anche creare dei nuovi strumenti che siano le infrastrutture della politica commerciale mondiale. Il mondo è oppresso dalle disuguaglianze e da una concentrazione di ricchezza senza precedenti. Come ho scritto la settimana scorsa4, arriverà una “tempesta perfetta” che interesserà Wall Street e le criptomonete (Le Monde ha recentemente5 visitato un centro di gestione e creazione di bitcoin – un cosiddetto miner – che consuma da solo metà della produzione di una centrale nucleare). La crisi può essere il punto di partenza per riordinare gli equilibri mondiali, con un ruolo nuovo della World Trade Organization. Al momento è sommersa di critiche, che puntigliosamente controbatte6 nel suo sito. Smentire serve a poco, solo agire cambia le cose: appoggiamo anche in questo caso l’Europa e il suo recente documento7, sia pur timido, su “Reforming the WTO towards a sustainable and effective multilateral trading system”. _______

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