PIANETA SICUREZZA. Contro l'algoritmo le armi dell'empatia
- Nicola Rossiello
- 23 ore fa
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di Nicola Rossiello

Credo che il progresso tecnologico abbia raggiunto, oggi, un evidente punto di non ritorno, nel quale la velocità delle macchine rischia di travolgere la lentezza dei valori umani. La criticità a cui faccio riferimento non è rappresentata dall'intelligenza artificiale come strumento a disposizione dell'umanità, ma dal fatto che la sua evoluzione sia il risultato di un modello economico che identifica le persone esclusivamente nei dati che deve processare e considera il profitto come l'unico obiettivo possibile. Se non si contrasta opportunamente e tempestivamente questa narrazione, stabilendo appropriate regole etiche globali, le conseguenze che ne deriveranno accompagneranno l'umanità in un mondo in cui l'efficienza degli algoritmi sostituirà la libertà di compiere delle scelte e aggredirà la struttura più profonda dei nostri sentimenti e delle relazioni che oggi instauriamo. D'altro canto, agire sulle relazioni è una delle armi più formidabili per mettere fuori gioco l'umanità.
Dignità umana a rischio
Davanti a questo pericolo imminente, per affrontare il futuro, abbiamo oggi il dovere di rimettere l'umanità al centro, proteggendo quegli elementi che hanno sempre caratterizzato la nostra esistenza come l'intuizione, la solidarietà e l'etica, ovvero quegli aspetti che oggi immaginiamo nessuna riga di codice possa replicare. Se è vero che non dobbiamo temere l'innovazione, è vero anche che non ci facciamo alcuno scrupolo a delegare le decisioni più importanti della nostra esistenza a chi intende solo trarre profitto dalla nostra attenzione. Quello che ci attende è una sfida mai affrontata prima dall'umanità, che equivale a ricondurre la tecnica al ruolo originario di strumento al servizio della nostra esistenza, facendo sì che lo sviluppo tecnologico proceda di pari passo con l'evoluzione civile della società e senza prevaricare la dignità di ogni individuo.
Ora, l'intelligenza artificiale ci propone un orizzonte in cui la specie umana si ferma davanti a un bivio cruciale, a un punto di svolta epocale che disegnerà la struttura della nostra esistenza dei prossimi decenni. Parlo di una questione che non è legata alla velocità con cui la tecnica sta progredendo, elevata e quasi impossibile da dominare, ma piuttosto correlata al paradigma economico che ne sta governando l'evoluzione e che corrisponde a un tecnocapitalismo che applica le nuove logiche di profitto e di elaborazione del valore a strumenti che hanno la facoltà e il potere di riconfigurare la natura stessa dell'essere umano. Per questo, non possiamo lasciare che il nostro futuro sia correlato esclusivamente ai bilanci dei colossi tecnologici mondiali perché, se permettiamo la supremazia del profitto su ogni nostra facoltà di scelta, ci troveremo in una società costruita a immagine e somiglianza delle macchine, nella quale l'efficienza conterà più delle persone. Credo che il pericolo reale sia proprio costituito dalla potenziale rinuncia alla straordinaria ricchezza delle nostre relazioni e della nostra vita sociale in favore di un'arida ottimizzazione tecnologica.
Contrastiamo la concentrazione del potere nelle mani di pochi
Per contrastare questo orientamento estremamente nocivo è necessario un cambio di paradigma che collochi i valori umani al di sopra del valore delle azioni, e che adotti l'innovazione che ci viene offerta come uno strumento di prosperità condivisa e non come un processo volto alla concentrazione squilibrata di ricchezza e di potere. Non vogliamo rifiutare il progresso, ma governarlo con un indirizzo etico che prediliga il benessere collettivo e la tutela delle risorse del nostro pianeta. Oggi, intelligenza artificiale, informatica quantistica e genetica si catalizzano reciprocamente in uno sviluppo vertiginoso. Ma, se si dovesse affermare la supremazia del profitto, questa centrifuga tecnologica sfuggirà a ogni tipo di controllo democratico.
Non resta molto tempo. Si tratta di valutare quando raggiungeremo il punto di non ritorno – e la situazione geopolitica internazionale lo rende abbastanza prossimo – oltre il quale la tecnologia potrebbe rendere vano ogni genere di reazione umana. Per questo è necessario sviluppare consapevolezza, soprattutto a livello istituzionale, per avviare un processo di controllo sulle infrastrutture critiche e di alfabetizzazione dei cittadini sui meccanismi di potere sottesi agli algoritmi. La tecnologia non è mai neutra ed ha sempre ridisegnato i rapporti sociali e la geopolitica internazionale. L'intelligenza artificiale sarà il risultato della nostra azione o della nostra inerzia, soprattutto dal punto di vista etico e della sua regolamentazione.
Tecnologia al servizio dell'umanità o il contrario?
In questo scenario, difendere la nostra unicità umana, fatta di empatia, creatività ed etica, diventa un atto di resistenza politica e culturale contro quella oligovisione preconizzata, quasi dieci anni fa, da Yuval Noah Harari che vedeva l'umanità come una massa fornitrice di dati e ridotta essa stessa al rango di dato elaborabile da parte di un server. Non possiamo consegnare il nostro futuro nelle mani di chi possiede capacità di calcolo o capitale di dimensioni tali da surclassare il Pil di vari stati del mondo. Ci attende un impegno straordinario per preservare il senso della nostra esistenza. Ogni giorno che passa si riduce la distanza tra una tecnologia che serve l'umanità e un'umanità che serve la tecnologia. Si tratta di prendere coscienza di questi processi e agire insieme per far sì che il progresso resti una risorsa al servizio della vita e della nostra libertà. Si tratta di tornare a forme alte, forti e concrete di partecipazione, che sono il primo antidoto all'alienazione digitale e all'atrofia etica che la tecnocrazia algoritmica sta tentando di somministrare, facendo leva su una politica conservatrice e reazionaria globale che, disdegnando la democrazia, garantisce il controllo delle masse.











































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