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"Non arrendiamoci alla violenza da qualunque parte provenga"

Aggiornamento: 2 ore fa

Torino ha la forza civica per non cedere alla militarizzazione di Vanchiglia

di Piera Egidi Bouchard


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Un ben triste e preoccupato Natale, questo che ci si presenta. Venti di guerra e distruzione, volontà malvage che si accaniscono nel mondo, e anche intolleranza e aggressione vicino a noi, a cui assistiamo sgomenti. È il caso dello sgombero del centro sociale di Askatasuna a Torino – il 18 dicembre, data sanguinante nella storia della violenza fascista nella nostra città. Come non ricordare? Torino è una città vivissima, reattiva, ricca di iniziative sociali e culturali: questo dà fastidio? Dobbiamo tutti omologarci agli sberleffi e alle volgarità prive di sale in zucca dei nostri intrattenimenti (si fa per dire) televisivi? Dobbiamo essere costretti a sopravvivere tra le macerie di un mondo che fu, come si aggirano disperati i popoli bombardati che vediamo ogni giorno nei nostri telegiornali?

I cortei “Propal” che hanno attraversato – pacificamente – per giorni e giorni le nostre vie rappresentavano la reazione civile ed emotiva all’oppressione di un popolo privato di tutto. Perché poi quell’irruzione alla sede de La Stampa? Come è stato possibile che un gruppetto di facinorosi facessero indisturbati quell’irruzione? Dov’erano in quel caso le forze dell’ordine, invece che presidiare i cancelli del giornale?

La memoria non può non andare a fatti altrettanto gravi e forieri di conseguenze, come il famoso corteo dell’Angelo Azzurro, che segnò di fatto la fine del movimento studentesco e l’innesco dei plumbei “anni di piombo”. Era il 1° ottobre del 1977 e in quel sabato pomeriggio, in via Po 46, morì Roberto Crescenzio, 22 anni, lavoratore-studente. Abbiamo vissuto tutto questo a Torino, e riemergere dalle macerie salvaguardando la democrazia è stata dura.

@Paolo Siccardi
@Paolo Siccardi

Chi sono questi facinorosi? Sono dei violenti che hanno voglia solo di menare le mani, o sono degli infiltrati, dei provocatori? Nei movimenti della nostra giovinezza ci insegnavano per prima cosa a guardarci dalle provocazioni. Sì, perché gli esiti di queste non portano altro che al rovesciamento degli obiettivi legittimi della protesta, danno adito alla repressione del dissenso. Questi giovani non hanno nessuno che gliel’ha insegnato? Noi abbiamo avuto la fortuna di aver imparato dai vecchi partigiani che ci ammonivano, e tuttavia, l’orrore dell’Angelo Azzurro, con quel ragazzo che bruciava come una torcia, è potuto accadere.

Abbiamo vent’anni fa accolto con condivisione il movimento popolare e pacifico dei No Tav, per le sue implicazioni ecologiche. Ma poi abbiamo visto i violenti in azione e no, così non va!... Adesso la Val di Susa è in gran parte militarizzata e presidiata, con disagio di chi ci risiede e con grande dispendio di soldi pubblici: vogliamo che accada altrettanto del quartiere di Vanchiglia-Vanchiglietta, che io conosco bene perché vi ho a lungo insegnato, e ricordo le lotte di quartiere, per le sedi, per gli asili, per i consultori, per il giardinetto del gas?

Un centro sociale giovanile è un luogo importante di aggregazione, che viene incontro alla dispersione, all’isolamento in una grande città, alla inoccupazione, e Askatasuna questo ruolo l’ha svolto, a detta e testimonianza di chi abita nel quartiere. Domenica mattina in chiesa una signora anziana che vive in quei paraggi raccontava incredula l’effetto di chiusura seguente nelle scuole, nelle strade. E infatti era stata giusta l’opzione del Comune di regolamentare quegli spazi. E su questa via bisogna procedere. Ma chi si impegna a gestire deve anche stare alle regole controfirmate.

Bisognerà trovare una soluzione “a bocce ferme”, come dicevano i vecchi operai piemontesi. Non so se lo stabile potrà essere ristrutturato e rimesso in funzione, o se ce ne vorrà un altro. Non è che manchino stabili dismessi in una città come la nostra che ha patito la chiusura di tante fabbriche. Ma certamente spazi autogestiti di aggregazione giovanile – ma anche aperti al territorio – sono estremamente importanti per la crescita civile e la convivenza. Certo che i giovani devono anche saper isolare i violenti e gli infiltrati: i vecchi partigiani non ci sono più, a condividere le esperienze, ma forse qualcuno delle passate generazioni può partecipare, e la nostra città è ricca di persone che ne sarebbero capaci.

Chiudere il quartiere, militarizzare tutto come è successo offre una soluzione immediata apparente; in realtà, solo in grado di convogliare la rabbia e la sete di rivincita degli antagonisti di mezzo mondo. Questo si vuole per Torino? Si vuole l’immersione in una guerriglia urbana atta solo a sradicare le radici progressiste di questa città che nel Risorgimento ha costruito l’Italia e un secolo dopo è stata medaglia d’oro della Resistenza?


 

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