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La nuova peste

Aggiornamento: 13 apr 2023

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

“A peste, fame et bello, libera nos Domine”, era sicuramente l’invocazione più diffusa nel Medioevo, ma trascorso quasi un millennio rimane quanto mai attuale. Speravamo di esserci liberati almeno dalla peste che invece si ripresenta in forme nuove ma non per questo meno deleterie. In passato i tre fenomeni erano quanto mai interconnessi, anche se i maggiori flagelli erano in realtà causati dalle epizoozie; una riduzione del numero degli animali costituiva una distruzione di capitale fisso (i buoi assolvevano allora alla funzione attualmente coperta dai mezzi produttivi “pesanti”, come i trattori e i mezzi da trasporto), oltre alla perdita di un’importante fonte alimentare. L’Europa non è nuova a questi problemi: un’epidemia di colera scoppiata a Parigi nel 1832, aveva mietuto quasi 20.000 vittime, rappresentò sicuramente uno dei momenti più significativi della presa di coscienza, del problema relativo alla neutralizzazione dei veicoli di contagio, ma non vi è città europea o italiana che non annoveri nella propria storia episodi simili. Gli italiani hanno inventato la quarantena e le magistrature sanitarie, ma oggi, come tutti, ci sentiamo impreparati ad affrontare la nuova sfida ed ecco che emergono i comportamenti meno nobili: diffidenza, pregiudizi e polemiche stanno riaffiorando con impressionante vigore. Nel nostro pianeta sono milioni le persone che muoiono per guerra e che soffrono la fame e se a questi si aggiunge anche il pericolo di un’epidemia su larga scala, tutti siamo percorsi da un brivido, che ci rende quanto mai insicuri. La prospettiva di tanti morti, il blocco dei commerci con inevitabili conseguenze sulle possibilità di crescita e di sviluppo diventano temi di immediato interesse. La realizzazione di un “villaggio globale”, alla Mc Luhan, ha comportato, anche sotto il profilo sanitario, nuovi problemi: un’epizoozia tra i suini o un virus sconosciuto, rimettono tutto in discussione. Il mondo sembra impreparato, non solo sotto un profilo scientifico, ma anche per la reazione culturale che si sta manifestando. Un individuo con gli occhi a mandorla viene guardato con sospetto, i nostri consumi cominciano a muoversi su parametri irrazionali e ci mettiamo le mascherine prodotte proprio nei luoghi dove si è sviluppata la peste. Nella speranza che presto i medici riescano a trovare un rimedio, rimane il problema di come il nostro villaggio globale si dimostri fragile nell’affrontare le crisi. Le norme igienico sanitarie, sempre utili ma quanto mai disattese, in mancanza di una paura immanente, si spera che riprendano spazio e attenzione e che permangano anche superata la crisi, superando la sottovalutazione che sempre accompagna questi problemi. Le azioni delle compagnie aeree perdono di valore per la contrazione dei viaggi nel prossimo periodo, mentre qualcuno comincia a scommettere su quale azienda farmaceutica brevetterà il nuovo miracoloso vaccino. Tra una speculazione e l’altra non sarebbe male ripensare alle norme igieniche e alle precauzioni da adottare per i commerci internazionali, nonché l’incisività nell’adottare sanzioni per chi non le rispetta. Occorre cioè cominciare a pensare che, se una parte consistente del mondo vive in condizioni di indigenza, non è solo un loro problema. La nuova peste forse non è quella che arriva dalla Cina, ma è dentro noi stessi.


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