La morte di Furio Colombo
Aggiornamento: 14 gen

«Una decisione razionale e giusta perché sarà Antonio il direttore». Così, con signorile aplomb, Furio Colombo, un borghese illuminato, si "dimise" il 22 febbraio del 2005 dalla direzione de l'Unità, cedendo la poltrona ad Antonio Padellaro. Non una parola fuori luogo, anche se in redazione si mormorava di pressioni da parte dei Ds, il partito di controllo del quotidiano. Ma da Furio Colombo, una laurea in giurisprudenza discussa all'Università di Torino, giornalista, scrittore, parlamentare, che è morto oggi all'età di 94 anni, compiuti il 1° gennaio, le ragioni rimasero confinate nelle stanze della discrezione.
Persona intransigente, Furio Colombo è stato molto nel giornalismo italiano e, per alcuni versi, tanto nella società italiana. Inviato Rai, è stato corrispondente dagli Stati Uniti per La Stampa e dirigente del Gruppo Fiat oltre oceano, docente di giornalismo alla Columbia University e all'Università della California, ha diretto per tre anni, dal 1991, l'Istituto italiano di cultura di New York.
Era in grado di raccontare le sue esperienze con un periodare preciso e chiaro da cui trasudava una cultura sterminata, impressionante, ma sempre ingentilita da un sorriso, che oltre nei suoi articoli, si ritrova in decine di libri. Direttore de l'Unità, ha cofondato il Fatto Quotidiano, da cui è uscito in aperta polemica con la direzione del giornale per le posizioni assunte giudicate filorusse sull'invasione dell'Ucraina. E' stato il suo modo netto di riconfermare quel "diritto di non tacere" che ha dato il titolo a un suo libro edito nel 2011, in collaborazione con Marco Alloni. Nella quarta di copertina vi si può leggere ciò che oggi sembra valere come il suo testamento culturale: "Non è una questione di sussurro e di grida. E' una questione di assenza o presenza, di sottotono o tono, di cose semidette oppure dette con estrema chiarezza, in modo netto".
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