L'Editoriale della domenica. Usciamo dalla logica manichea dei giudizi di pancia
- Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi
- 11 ott
- Tempo di lettura: 3 min
di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

Un po’ di curiosità oggettivamente è rimasta tra chi si chiedeva cosa sarebbe successo se le proteste fossero continuate all’infinito, se avessero vinto i sostenitori del “blocchiamo tutto”. La storia è ricca di sfide politiche o tra le parti sociali che non si fermarono, dalle proteste di due secoli or sono dei venditori di candele a Torino per protestare contro l’arrivo del gas (il “gasso” come si chiamava allora) a quello dei camionisti (con il sostegno documentato della CIA) in Cile nel 1973, che portò al potere Pinochet; dalla morte dei poliziotti Annarumma durante le manifestazioni del 1969 e Marino nel 1973, ucciso per mano di neofascisti, sempre a Milano, allo sciopero dei minatori in Inghilterra 1984/85 (due morti e 11mila arresti).
Tanti sono gli episodi che la storia propone da cui le diverse fazioni possono trarre spunto per ricordare la cattiveria della parte avversa o per ricostruire come si sono evoluti certi fenomeni sociali che hanno portato il mondo ad essere quello che noi conosciamo. Anche le manifestazioni di questi giorni riempiranno in futuro qualche pagina di storia, mentre oggi è ancora prematuro valutarne le conseguenze: siamo ancora nella fase dove se si esprime un parere pro o contro, si rischia di entrare nel cono di una velenosa polemica tra le parti.
Ed è forse questa la prima osservazione che emerge dai fatti recenti: l'indisponibilità a comprendere ciò che pensano gli altri, il che favorisce inevitabilmente la confusione tra chi si limita ad ascoltare a random i titoli proposti dall'informazione (cioè la maggioranza della gente e poco giova ricordare che i francesi in questi giorni vivono in una confusione ancora maggiore). Gli stessi giornalisti, che si dividono nel riportare immagini o di chi protesta per i disagi provocati delle manifestazioni o di chi applaude, si ritrovano, forse al di là delle loro stesse intenzioni, a cavalcare forme di partigianeria destinata a rivelarsi inconcludente. Sia chiaro, non vi è nessun intento svalutante per l'informazione, ma è sempre più evidente che la capacità d'interpretare i fenomeni sociali è sempre modesta se si affida unicamente alle emozioni istintive o immediate.
Se si vuole subito giungere alla sentenza su chi ha ragione e chi ha torto, riducendo il tempo dedicato all’analisi necessaria dei fatti, il fallimento è già dietro l'angolo e gli episodi, anche giudiziari, su tutti i dubbi sul caso Garlasco, ne sono purtroppo una brutale conferma.
Sotto questo aspetto i social presenti su internet forniscono un mezzo deviato rafforzando a dismisura il binomio “notizia-giudizio”, a scapito delle riflessioni ponderate sul perché e su quali conseguenze possono derivare da fatti e comportamenti.
Oggi con la Pace raggiunta a Gaza e la speranza che superi le sue intrinseche fragilità, perché il Medio Oriente ha già visto troppi orrori, gli estremisti di professione, che professano soluzioni manichee, si trovano quasi orfani di motivazioni per spaccare qualche vetrina e cercare lo scontro fisico con le forze dell’ordine. Tuttavia le fotografie di casa nostra non ci dovrebbero comunque distogliere dello sguardo sulle decine e decine di conflitti che continuano a insanguinare il pianeta. Dalla guerra in Ucraina a quella terribile in Sudan, passando per il Mali, lo Yemen, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia e il Myanmar, l'elenco è drammaticamente lungo. Ma, forse, proprio qui sta il problema: non si sa da che parte stare. Un "dramma" individuale nel dramma collettivo che ci vede ignorare le morti che falcidiano quelle popolazioni con il risultato di sentirci rassicurati dalla nostra coscienza.
In effetti, alcuni dibattiti televisivi più che analizzare i problemi sono un esercizio dialettico, realizzato dai "sacerdoti" dei moderni insultifici per riuscire a denigrare l’avversario con il "sostegno" di immagini forti utili soltanto a semplificare i concetti. Un esempio: è quanto di più folcloristico, se non fosse tendenzialmente pericoloso, parlare di “musulmancomunisti”, evoluzione del cattocomunismo, per indicare l’eccessiva vicinanza di certi ambienti al fanatismo islamico, banalizzando un fenomeno sociale che merita più lenti di ingrandimento se lo si vuole comprendere e spiegare.
Il vero problema è che si ha l’impressione che con l'insulto rivolto all’avversario si ottenga più audience e si guadagni più voti. Ora, se può essere vera la prima osservazione, falsa è la seconda, se la società è costretta a confrontarsi con il crescente astensionismo alle urne (oggi, nuovo test in Toscana per il rinnovo del presidente e consiglio regionale). Certo, affermare che l’altro sbaglia è di immediata percezione, mentre ragionare sul futuro della nostra società si rischia la noia. Ma questo non è un buon motivo per smettere di pensare, mestiere decisamente faticoso.













































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