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Bilancio dell’attentato a Tel Aviv: 3 morti e 10 feriti

Massima allerta in Israele per il primo venerdì di Ramadan, dopo l’attentato di ieri sera nella capitale Tel Aviv, a Dizengoff (https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2021/08/model_edr.pdf). Non a caso, Gerusalemme è presidiata da 3mila agenti della polizia israeliana per “raffreddare” le tensioni che potrebbero affiorare durante il rito della preghiera nella spianata delle Moschee e contrastare emulazioni di stampo terroristico. Quello di ieri sera, è costato la vita a tre giovani, di cui due amici di 27 anni (nella foto) e il ferimento di 10 persone, di cui quattro gravi. L’attentatore, 29 anni, originario di Jenin, individuato a Jaffa, è stato ucciso dalle forze di sicurezza israeliane. Il suo nome era sconosciuto alla polizia: un insospettabile che secondo altre fonti militava nelle “Brigate dei martiri di al-Aqsa”, un gruppo vicino ad al-Fatah e nell’ornata della Jihad islamica. L’unica certezza è la sua provenienza: Janin, città palestinese nella Cisgiordania settentrionale, sotto l’amministrazione dell’Autorità palestinese. Janin non è una città qualunque. Nell’immaginario collettivo dei palestinesi è il simbolo della lotta contro Israele. Nell’aprile del 2002, nel corso della seconda Intifada, fu l’epicentro di uno dei più sanguinosi episodi dello scontro tra le parti che si trascinò strada per strada, casa per casa, in cui insieme alle violenze e al sangue si alternarono accuse e contraccuse sulla repressione di Israele, responsabile secondo i palestinesi della morte di 52 parsone, molte delle quali disarmate e prive di legami con i terroristi. Nella battaglia che durò una settimana, furono uccisi 23 soldati israeliani. Nello stesso anno, fu realizzato un film denuncia che presentava i racconti a caldo dei testimoni palestinesi diretto da Mohammad Bakri. Il film, censurato in Israele, fu dedicato al produttore del film, Iyad Samoudi, ucciso dai militari israeliani poco dopo la fine delle riprese, ad Al-Yamun, nel Governatorato di Jenin. Era il 23 giugno 2002. Secondo la versione di Tel Aviv, Samoudi era un militante della Brigata dei Martiri di al-Aqsa. E qui, purtroppo, il cerchio si chiude in una sequela di odi profondi dell’una e dell’altra. Da Tel Aviv il premier Naftali Bennett, in evidente affanno per la serie di attentati luttuosi da quasi due settimane sta destabilizzando il Paese, ha ringraziato le forze di polizia. Ma permane la sensazione che sul suo governo cominci a incombere l’ombra pesante di Netanyahu. Una presenza che per quanto ingombrante risponde alla domanda di sicurezza che anima Israele a qualunque costo.

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