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Alla ricerca dell'empatia con Torino: giro di boa per Lo Russo

di Beppe Borgogno


Il Sole 24 ore ha recentemente pubblicato, come ogni anno, la sua indagine sul gradimento che i cittadini riservano ai Sindaci. Come già lo scorso anno Stefano Lo Russo, primo cittadino di Torino, non si colloca tra le posizioni di vertice, subendo addirittura un ulteriore calo. Non so se, come nel 2023, Lo Russo continui a dare un valore relativo a questo sondaggio, e a ritenerlo piuttosto uno stimolo a fare meglio.

Se sì, credo che il suo atteggiamento non sia del tutto sbagliato: non sono rari, ad esempio, i casi in cui ad un teorico gradimento altissimo non sia poi seguita una altrettanto apprezzabile affermazione elettorale. Il valore di un’amministrazione e del suo operato, inoltre, è qualcosa che si presta poco alle verifiche intermedie, e che ha bisogno dei tempi giusti in rapporto al programma che vuole realizzare ed alle difficoltà che incontra, per essere adeguatamente stimato.

Giunto a metà del suo mandato, il Sindaco di Torino farebbe un atto di presunzione a non considerare quel sondaggio almeno come un indicatore di tendenza, di cui tenere conto assieme a qualche altro dato.

C’è, per esempio, un'analisi interessante sui recenti risultati elettorali in città, che confronta i dati delle elezioni europee e di quelle regionali e i flussi elettorali, firmato da Paolo Natale, docente di sociologia politica dell’Università di Milano. Di questo lavoro, a quanto pare, si sta discutendo poco o nulla, preferendo anzi, nel centrosinistra tutto, ma in particolare nel Pd, accontentarsi del buon risultato delle europee per ripartire, almeno secondo le cronache locali,  dalle cattive abitudini, comprese purtroppo quelle che hanno determinato la netta sconfitta alle regionali.

Il lavoro di Paolo Natale, realizzato insieme con lo studioso di flussi Gianni Garbarini, dice in sostanza che, dopo tanti anni e con la sola parentesi dell’elezioni di Chiara Appendino (2016), a certe condizioni Torino potrebbe essere contendibile a vantaggio del centrodestra.

Analizzando il voto regionale, ci si accorge infatti che il distacco in città tra le due coalizioni si è nel tempo assottigliato, per arrivare lo scorso giugno a soli 4,5 punti di vantaggio per il centrosinistra (nel 2019, quando Chiamparino fu sconfitto da Alberto Cirio, il vantaggio per il centrosinistra era di circa 15 punti).

Ci si accorge poi che i voti ottenuti da Cirio in città sono circa 20.000 in più rispetto al risultato del centrodestra per le europee. E l’analisi dei flussi, infine, dice che più della metà di quei voti arriverebbero in particolare da cittadini che per le europee hanno votato  PD, e poi da Stati Uniti d’Europa e Azione.

Anche gli studi dei flussi, come i sondaggi, si possono naturalmente “prendere con le molle”. Ma entrambi i dati (il sondaggio del Sole 24 ore confrontando il risultato 2023 con quello 2024, e il lavoro di Paolo Natale) fanno intravedere una tendenza ed una mobilità elettorale e del consenso che a Torino non sembrano andare esattamente e per forza nella direzione del centrosinistra.

E’ pur vero che le elezioni europee hanno portato, in particolare al Partito democratico, una sorpresa importante: ma quello, come sappiamo, è un voto tutto politico, dove si sceglie il partito. Quando si tratta di elezioni per istituzioni più “vicine”, è più probabile e frequente che la scelta riguardi anche le persone. Perciò, si chiedono i ricercatori, siamo proprio sicuri che, in un quadro di microdisaffezione progressiva verso il centrosinistra in città, un candidato “moderato e civico” del centrodestra non possa essere competitivo? Magari su quella fetta di elettorato, con quelle stesse caratteristiche e protagonista a vario titolo della vita cittadina, che negli anni, da Valentino Castellani (1993) in poi, ha optato invece il centrosinistra?

Per ragionare su come proseguire oltre la metà del mandato sembrerebbero esserci argomenti interessanti e utili, quanto meno, da discutere e da approfondire.

Per cominciare, sarebbe forse utile riprendere ed aggiornare l’analisi sulla città e sul suo futuro, con i cittadini, senza per forza aspettare la prossima iniziativa della Curia Metropolitana. Nel frattempo, probabilmente, occorrerebbe cercare di correggere quello che fin qui è sembrata una delle caratteristiche di questa amministrazione: agire come se il suo successo o meno fosse da affidare, sostanzialmente, ai risultati “che si vedranno” (speriamo, e non sarà certo una passeggiata, visti i problemi che ormai ogni amministrazione incontra per le difficoltà legate alla carenza di personale e a quelle che derivano dalle risorse economiche limitate, il cui effetto ricade purtroppo sulla quotidianità dell’azione amministrativa).

In una città complessa e perennemente in bilico tra bisogno di rinnovarsi e paura del declino non esiste “un prima e un dopo” nel governo della città: un prima in cui si elabora e si realizza, magari tra tante difficoltà, e un dopo in cui si comunica, nella certezza che saranno comunque gli atti a parlare. Come si è, tra l'altro, verificato in un passato non ancora remoto.

Spiace ricordarlo, infatti, ma questa idea fu probabilmente una delle cause (assieme a tante altre, per carità) che contribuirono a determinare un’altra sconfitta, dolorosissima, per il centrosinistra a Torino. C’è un rapporto con la città che va, invece, in parte ricostruito. C’è un dialogo che dovrebbe tornare ad essere parte integrante dell’azione amministrativa: un autentico metodo di lavoro quotidiano da studiare, organizzare e rendere una priorità indispensabile. Come non è accaduto, ad esempio, per gli alberi di corso Belgio, di cui questo sito si è ripetutamente occupato.[1]

Ci sono aree della città decisamente problematiche, non c’è dubbio. Quelle aree dove, più che il voto a destra, anche questa volta abbiamo visto prevalere la sfiducia e l’astensionismo. C’è da evitare che si consolidi la distanza tra le “due città”.

Ma per fare tutto quanto descritto è indispensabile, anzi è contemporaneamente condizione ed obiettivo, ricostruire una rete oltre i confini dell’amministrazione, da coinvolgere e con cui condividere un disegno di città. Un'amministrazione, se anche riuscisse ad apparire brava e responsabile, da sola non ce la farebbe. Insomma, per l’altra metà del mandato sembrerebbe esserci parecchio da fare. Abbastanza da sconsigliare di tornare alle (vecchie) abitudini che hanno contrassegnato il deludente dibattito (a cui non poteva che seguire un risultato altrettanto deludente) verso le elezioni regionali.

Scorrendo le cronache locali dei quotidiani nazionali, nei giorni scorsi qualcuno avrà probabilmente letto del cambio di capogruppo per il PD in Consiglio Comunale: cambio indispensabile, dopo che Nadia Conticelli è stata eletta in Consiglio Regionale. Le persone su cui potrebbe cadere la scelta del gruppo sono diverse, e a mio parere tutte degnissime. Ciò che colpisce di quell’articolo è ciò che viene descritto come il metodo della scelta: l’appartenenza o meno ad una delle componenti, fino al punto da descrivere la fattispecie di chi, pur facendo parte della componente “di minoranza”, non sarebbe troppo distante da quella di maggioranza e garantirebbe perciò un equilibrio nei rapporti di forza interni (sic!). Ovvero, l’eterno congresso del Pd, secondo quell’articolo, continuerebbe, addirittura affinandosi, nel gruppo consiliare come, si intuisce, dappertutto.

Mi auguro davvero che non sia così, quanto meno per il rispetto dovuto alle persone candidate a quell’incarico. E spero sinceramente che i consiglieri discuteranno d’altro: di qualcuno degli argomenti elencati nelle righe precedenti, o almeno di ciò che, in una situazione come quella descritta fin qua, i consiglieri comunali del principale gruppo del centrosinistra che guida la città dovrebbero fare. In altre parole, pur nell’epoca della comunicazione globale, almeno due o tre cose: stimolare quelle riflessioni indispensabili, sentirsi parte del rapporto con la città da curare con meticolosità e passione, fornire il contributo di conoscenza della città e di competenza necessario per affrontare il resto del percorso. E chiedere al nuovo capogruppo, più che l’equilibrio tra le componenti, di essere la guida e il garante del contributo a quel percorso. Posso garantire, per esserci passato qualche anno fa, in un’epoca assolutamente diversa dall’attuale, ma in fondo diversamente complessa, che la soddisfazione e la gratificazione per chi contribuisce all’amministrazione di una città come Torino, stanno grosso modo in quel solco. Anche nella società 3.0. E la ricerca dell'empatia non è affatto disdicevole.


Note


[1] https://www.laportadivetro.com/post/dagli-aceri-di-corso-belgio-al-parco-della-confluenza-la-coerenza-verde-del-comune-di-torino;


 
 
 

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