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Smart work: silenzio sospetto sul rimprovero dell’Oms all’Italia

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi |

Fra le tante polemiche che condizionano questo periodo d’incertezza pare strano che una critica esplicita mossa dall’Organizzazione Mondiale della sanità all’Italia (nell’ambito dei programmi #HealthyAtHome: ‘Walk the Talk: Health for All Challenge’), relativa alla possibilità di attivare e fruire del cosiddetto lavoro agile, collegato alla salute, sia stato silenziato dai mass media e dagli opinion maker. Sappiamo bene che tendenzialmente il potere non ama la critica, specie se fa del mantenimento della normalità una sua bandiera: nascondere però i problemi non significa risolverli. Le accuse rivolte al nostro Paese

Le ricerche unanimemente rilevano come l’attività lavorativa presso il proprio domicilio migliori la produttività con un impatto positivo sulla qualità della vita e sia, per l’Oms, un valido strumento per ridurre le possibilità di contagio, smorzando il rischio di lockdown, prima che sia troppo tardi. Di qui gli appelli dell’Oms, lanciati da Maria van Kerkhove, responsabile delle misure di emergenza anti pandemiche, che l’Italia sembra non recepire. Per alcuni versi è comprensibile. Più perdura la pandemia, più la popolazione vorrebbe sentire frasi rassicuranti: esigenza che però non sempre corrisponde alla realtà. Gli annunci prematuri della fine del regime “emergenziale” hanno comportato il ritorno al lavoro in presenza per milioni di lavoratori, senza far tesoro del know how nel frattempo maturato e acquisito. I risultati raggiunti dall’Italia nel contrasto al virus sono indubbiamente encomiabili e di ciò occorre rendere grazie al Governo e al suo commissario, generale Figliuolo, che hanno permesso di affrontare meglio di altri la pandemia. Si può dire che la definizione del Governo dei migliori, non era del tutto fuori luogo, ma ciò non toglie che vi sia anche qualche spina che è meglio non cercare di nascondere per non rovinare le cose buone fatte. Il non prendere in considerazione gli ammonimenti dell’Oms (nonostante l’autorevolezza dell’istituzione, non infallibile, ma che rappresenta un riferimento ineludibile se si vuole procedere con un approccio razionale ai problemi) rileva l’incapacità culturale ad affrontare certe situazioni. I cambiamenti spaventano, mentre rassicurare sul ritorno ad una presunta normalità (anche se datata e un po’ vetusta), permette di guadagnare consensi. Sul lavoro agile sembrano vincere ancora i timori, l’arretratezza dell’assetto imprenditoriale e la volontà del governo, per una questione di orgoglio e alterigia, di difendere a ogni costo l’apparenza di «normalità»: tutto ciò ha portato l’Italia agli ultimi posti in Europa per quanto riguarda l’adozione del lavoro da remoto: uno strumento che non costa, migliora la produttività, accresce il benessere di molte famiglie, riduce i contagi, non obbliga i “no vax” a stare vicini ai “si vax” (e viceversa), fa risparmiare in termini di minor inquinamento delle grandi metropoli perché allora contrastarlo?

Italia e Francia sono all’ultimo posto tra i paesi dell’Europa occidentale per ricorso allo smart work con solo il 7% di lavoratori in più in remoto rispetto al periodo pre-pandemia; in Germania 8,3% (dove il lavoro a distanza è stato reso obbligatorio, se non ci sono ragioni ostative), Spagna 9,8%, Regno Unito il 22%. Negli States il lavoro agile aveva già preso piede ancor prima del lockdown, tant’è che le agenzie immobiliari specificano se le abitazioni in vendita dispongono di comoda posizione per lo smart work. L’Istat ha certificato (indagine pubblicata il 15 dicembre) che l’80% delle pubbliche amministrazioni che ha fatto ricorso al lavoro agile ha stimato un miglioramento della produttività in oltre il 50% dei casi (e solo il 4% in calo) oltre ad un beneficio per il benessere dei lavoratori. Stato di Polizia e convivenza civile

La cultura dei singoli Paesi rileva il rispetto reciproco che si instaura tra istituzioni e popolazione: se cioè lo Stato si fida degli individui (supportandone il livello culturale a cominciare dalla scuola dell’obbligo) oppure lo Stato non si fida e predispone regole e punizioni. Nella fattispecie della pandemia si parte dal presupposto (modello svedese che non ha attuato misure rigide) che i cittadini siano consci dell’importanza di mantenere misure di igiene e sicurezza ed attivare le forze dell’ordine solo in casi estremi, oppure, occorre regolamentare ogni singolo comportamento, compreso come prendere il caffè (e avere “uomini d’arma” e delatori per controllarne l’effettiva applicazione). Se però le regole non vengono scritte con accortezza si rischia il caos che, nel caso del telelavoro, rinforza i dubbi di agevolare i fannulloni, di facilitare le esternalizzazioni e le riduzioni di personale impiegato (ed il tessuto imprenditoriale italiano, costituito da piccole imprese, non agevola soluzioni manageriali innovative). La trasformazione da pandemia a fenomeno endemico, obbliga ad allargare il discorso sul rapporto tra i “Cives” e le “Istituzioni”, ossia se indirizzare il sistema verso forme di convivenza civile basate sui comportamenti virtuosi (il “common law”, incardinato sulla prevalenza del diritto giurisprudenziale, tipico dei paesi anglofoni, fondato su un intrinseco riconoscimento delle consuetudini cui fa seguito la codificazione) o sulla necessità di normare ogni singolo aspetto della società (“civil law” un sistema di ordinamento giuridico, tipico dei paesi dell’Europa continentale, derivante dal diritto romano, imperniato su codici e leggi precostituite e condizionato dal positivismo giuridico: concettualmente, procede per astrazioni, formula principi generali e distingue le norme sostanziali da quelle procedurali). La comparazione dei due sistemi non può prescindere dalle tradizioni dei singoli Paesi ed obbliga ad una visione prospettica del futuro. La pandemia ha insegnato che occorre una collaborazione fattiva della collettività per debellare il virus (che non si adatta al volere dei legulei), mentre il proliferare continuo di volontà regolamentari rischia di creare un profondo senso di sfiducia. Le norme per essere efficaci devono essere poche, chiare e rispettate (e, quando necessita, fatte rispettare con determinatezza). Oggi sembra che la cultura dominante (e non solo la classe politica che si limita a seguire la moda) sia attratta dal volere tante norme, volutamente confuse, in modo da poterle eludere a propria discrezione. Il virus ringrazia.

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