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Scelte tedesche contro il ritorno (possibile) del virus

Aggiornamento: 12 set 2022

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi


Nessuno conosce il futuro, ma prevenire ciò che può accadere è un principio di prudenza. Secondo il Bundesministerium für Gesundheit, BMG (il Ministero federale della salute) Karl Lauterbach da quando si è insediato, l’8 dicembre 2021 non perde occasione per ricordare i pericoli di una sottovalutazione del ritorno della pandemia e, senza creare allarmismi, sta programmando azioni per fronteggiare una nuova ondata quest’autunno.

Secondo Lauterbach si sarebbe già potuto chiudere il discorso della pandemia con l’obbligo di vaccino, ossia con una copertura globale di tutta la popolazione. Non essendo stato possibile raggiungere questo risultato, diventa inevitabile programmare un’articolazione di interventi in caso di ripresa della virulenza. Non si tratta di riempire magazzini di beni che poi rischiano di non essere consumati prima della loro scadenza, ma di una serie di azioni programmatiche, in grado di mettere subito a disposizione risorse per ogni evenienza.

L’atteggiamento teutonico

La normativa tedesca prevede una classificazione di aree a rischio varianti (Virusvarianten-Gebiete). Anche l’ingresso in Germania è ancora attentamente monitorato: si applicano diverse prescrizioni sanitarie (obbligo di registrazione; obbligo di tampone; e, se del caso, obbligo di quarantena). Per gli italiani non esistono restrizioni particolare ma, nel dubbio, si può consultare il sito del Robert-Koch-Institut (RKI).

La sanità tedesca colta, come altre, impreparata ad affrontare l’epidemia, oggi tende a fronteggiare il problema in una logica scientifico-epidemiologica, cercando di lasciare poco spazio alle interpretazioni dettate da prese di posizioni ieratiche. Il contrasto della pandemia, inevitabilmente coinvolge un’infinità di variabili socio-ambientali impossibili da prevedere, sia nella loro evoluzione temporale che nella virulenza delle sue manifestazioni.


Proprio la complessità del problema indurrebbe ad approfondire il tema da parte del mondo scientifico e a fornire indicazioni chiare da parte delle autorità competenti: in particolare il Ministero della Salute dovrebbe già ora fornire alle Regioni indicazioni su cosa fare da settembre in poi quando il caldo finirà e i virus respiratori aumenteranno la loro diffusione.


Le Regioni stanno aspettando il riconoscimento di circa 400 milioni di euro per il 2021 e circa altrettante per il 2022 per ripianare le spese per il contrasto a Covid e le vaccinazioni (fondi necessari per investimenti nella sanità regionale e nell’assunzione ragionata del personale necessario). Il Presidente della Toscana, Eugenio Giani, durante l’incontro degli “Stati Generali della salute in Toscana”, che si è svolto pochi giorni fa a Firenze, ha chiesto al ministro Roberto Speranza indicazioni sulle vaccinazioni (quarte dosi a tutti?, solo ai soggetti fragili?, su base obbligatoria o facoltativa?) in quanto ogni decisione richiede un’organizzazione diversa e le Regioni non possono trovarsi impreparate ad affrontare l’autunno. La regola aurea è quella di verificare l’efficacia degli interventi e ordinarli per l’impegno di risorse richiesto (e non in base al consenso elettorale).


Il panorama internazionale

Quello che è certo è che a livello mondiale il virus è tutt’altro che annientato e si sta evolvendo nelle aree più povere, dove vengono a mancare anche le più basilari norme igienico-sanitarie e nei teatri di guerra, dove una tecnica messa in atto da alcuni eserciti è proprio quella di provocare situazioni disperate per fiaccare la resistenza dell’avversario. Quali conseguenze questo può avere sulle popolazioni è del tutto imprevedibile in un mondo che aveva visto nella globalizzazioni e nel libero scambio una possibilità di sviluppo illimitata. Inevitabile che in questo scenario che organismi dell’Onu (Organizzazione Mondiale della sanità e Organizzazione Mondiale del Commercio) si stiano attivando per impedire degenerazioni incontrollate.

L’argomento si presta a facile allarmismi per cui è necessario mantenere l’argomento nell’alveo dei rigidi parametri delle scienze epidemiologiche e attivare tutte le forme di monitoraggio possibili. Il prospettare la ripresa della pandemia a settembre parte dal fatto che ancora nei primi giorni di giugno, nonostante il caldo record, si registrano decine di migliaia di nuovi casi al giorno (sia in valore assoluto che in proporzione, più alta rispetto alla situazione italiana) e che, di conseguenza, è ipotizzabile una ripresa con i freddi autunnali.

L’esperienza maturata in questi due anni dovrebbe aver fornito il know how per affrontare la situazione in modo razionale potendo contare, oltre che su vaccini più mirati, in un più tempestivo riconoscimento diagnostico della patologia, in maggiori potenzialità terapeutiche e una minore paura ad affrontare il problema. Ma tutte queste maggiori conoscenze devono essere messe a frutto per programmare il futuro prossimo, non per ignorare l’esistenza del problema: forse oggi il pericolo maggiore che stiamo correndo per accondiscendere ad un demagogismo a buon mercato che ci porta a rifiutare qualsiasi misura di prevenzione.


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