Punture di spillo. La cultura del deficit che Trump II non capisce
- a cura di Pietro Terna
- 17 apr
- Tempo di lettura: 6 min
a cura di Pietro Terna

Gli Stati Uniti sono stati beneficiati da un plurisecolare afflusso di capitali, prima europei poi mondiali, ad iniziare dall’industrializzazione del XIX secolo. Prima ancora che la Seconda guerra mondiale finisse, nel luglio 1944 il monumentale Mount Washington Hotel di Bretton Woods nel New Hampshire ospitò le trattative finali degli accordi[1] che determinarono un nuovo ordine economico mondiale. In quell’occasione non fu accolta la proposta innovativa e geniale di John Maynard Keynes[2] – che, per i servigi resi al suo paese, era divenuto barone di Tilton –, che prevedeva una moneta mondiale per la compensazione tra quelle nazionali, il Bancor.[3] Il suo sostenitore era affaticato e malato di cuore e morirà di lì a poco, a soli 62 anni.[4] Con la forza dell’imminente vincitore, fu approvato un sistema dollaro-centrico, solo in apparenza basato sull’oro, ma in realtà fondato sui biglietti verdi, destinati a diventare il simbolo per antonomasia della fiducia. Ecco che cosa ha fatto la fortuna degli Stati Uniti e che cosa Trump non ha mai capito.
Le prime "grandi intuizioni"... su Playboy nel 1990
In una intervista del 1° marzo 1990, Trump – che in quel momento era essenzialmente un palazzinaro e un biscazziere, ops, proprietario di casinò – affermava: «Noi americani siamo derisi in tutto il mondo per perdere centocinquanta miliardi di dollari anno dopo anno, per aver difeso nazioni ricche per nulla in cambio, nazioni che sarebbero state spazzate via dalla faccia della terra in circa quindici minuti se non fosse stato per noi. I nostri “alleati” guadagnano miliardi fregandoci».[5] Dove sono pubblicate, queste alate parole? Su Playboy, mi pare giusto.[6] Se si legge l’intera intervista, e si osservano le espressioni dell’allora quarantatreenne personaggio, si capisce molto di quel che sta accadendo ora.

Cerchiamo di fare ordine, con un minimo di inquadramento economico. Ogni paese dispone dei beni – merci e servizi – prodotti all’interno e di quelli importati, meno quelli esportati. Il valore dei redditi prodotti in quel paese – retribuzioni del lavoro dipendente, interessi, rendite e profitti – corrisponde al valore dei beni prodotti all’interno. Se le importazioni sono più delle esportazioni, si acquisisce a proprio vantaggio una parte del controvalore in beni dei redditi dei cittadini di altri paesi. È esattamente l’opposto di quel che sostiene Trump, quando dice che tutto il mondo ha trattato molto molto male gli Stati Uniti e ha guadagnato derubandoli.
Gli States, per oltre settant’anni, hanno quasi sempre importato più di quanto hanno esportato, per cui i loro cittadini si sono trovati a disporre una quantità di beni maggiore di quelli prodotti. Con un linguaggio da anni ’70 si sarebbe detto, con la pronuncia blasé di Gianni Agnelli: «vede… caʋo Trump, avete vissuto al di sopʋa delle vostʋe ʋisorse». Come è stata possibile questa magia? Fossimo stati noi sarebbero arrivati il Fondo Monetario Internazionale e più tardi la BCE e l’UE – vi ricordate certamente la troika in azione nella crisi greca – a strapparci le vesti e l’oro dai forzieri della Banca d’Italia. Come mai non è successo con gli States? Perché tutti, con loro, non scambiavano merci e servizi in cambio di altre merci e altri servizi, ma in cambio di biglietti verdi, con sopra scritte grandi quantità di dollari. Che cosa facevano con quei dollari, i paesi che si trovavano a riceverne ben più di quelli necessari a pagare le loro importazioni?[7]
Il debito pubblico Usa finanziato dagli altri...
Ecco la seconda parte della storia che Trump non ha capito e che riguarda la crescita del benessere americano e anche quella del deficit del bilancio pubblico di quel paese: prima si registrò il grande afflusso di capitali, ad esempio dal Giappone, per acquisire immobili, aziende, persino il Rockfeller Center nel 1989; poi dominarono gli acquisti delle Dot-Com nel 2000, con grave danno degli imprudenti compratori; infine, i sicuri investimenti in Treasury bonds, cioè nel debito pubblico, e quelli più volatili nei settori high-tech, come quelli della cosiddetta Silicon Valley. Quindi il beneficio per gli Stati Uniti è stato doppio: maggiori beni da consumare e deficit pubblico finanziato dagli altri paesi.

Il "biondo" Donald dice che li derubiamo, ma sono stati loro a darci carta e debiti in cambio di beni: l’ordine economico dopo la Seconda guerra mondiale è stato costruito così e di fatto è sopravvissuto sino ad ora! Ora vuole distruggerlo, mettendo che cosa al suo posto? Una grande recessione che certamente consentirà ai ricchi di diventare ancora più ricchi, a danno dei poveri.[8] Lo capiranno gli americani quando, tra poche settimane, troveranno vuoti gli scaffali dei supermercati, per mancanza di beni importati, soprattutto dalla Cina; lo capiranno i lavoratori del commercio e dei trasporti, licenziati per lo stesso motivo; non è sbagliato includere nel conto i dipendenti pubblici licenziati dalla coppia Elon&Donald; lo capiranno le tute blu, che invece di veder arrivare nuovi stabilimenti industriali come vagheggia la Casa Bianca, saranno licenziati per la recessione. Chi può gridare tutto ciò in America? Non lo stanco partito democratico; non i grandi quotidiani, sempre meno importanti; non i giudici, cui l’esecutivo risponde con alzate di spalle. Forse solo le grandi università, che fanno sempre paura ai prepotenti di turno, come accade ora negli States.[9] A onore del vero, l’ha gridato anche Obama e Mr. President ha fatto staccare dalla parete il suo ritratto.
Ridiamo bellezza al bacio
Lo grida anche il nostro baccelliere di musica, capace di concludere in modo speciale ogni spillo. Ha scritto che guardando le espressioni di the Donald, non si può fare a meno di pensare a uno dei tanti aforismi attribuiti a Oscar Wilde. Solo i superficiali non giudicano dalle apparenze.

Ed effettivamente bisognava essere superficiali assai per non giudicarlo male già nel 1990 (si rivedano le foto dell’intervista). Intendiamoci: nessuno è responsabile dei propri tratti somatici, ma la scelta della postura e degli atteggiamenti ci qualifica prima ancora del contenuto delle nostre parole. Alla vigilia del 25 aprile e 8 maggio, il riferimento ad alcuni dittatori del XX secolo non è puramente casuale. Parole che, nel caso, non potevano fare a meno di confermare la prima impressione. In particolare, sono le parole degli ultimi giorni che ci hanno lasciati decisamente perplessi, questo non solo per la volgarità, che non è una merce rara anche alle nostre latitudini, quanto per il rango al quale ha ridotto una forma nobile ed intima come il bacio a strumento di captatio benevolentiae quando non anche a instrumentum regni. Allora vogliamo riportare il bacio alla sua funzione originaria e ci rivolgiamo in prima istanza a Prince e alla sua Kiss.[10] Prince canta:
You don't have to be rich to be my girl
You don't have to be cool to rule my world
Ain't no particular sign I'm more compatible with
I just want your extra time and your kiss
Prince era un concentrato di groove e anche di sensualità e ci ricorda che non è indispensabile essere ricchi o cool - qualsiasi cosa significhi - ma piuttosto regalare del tempo alle persone e riportare il bacio alla sua funzione originaria. È vero, c’è il bacio di Giuda (quanto attuale in questa settimana!) ma poi possiamo ascoltare Ivano Fossati e capire che ce ne sono di altri che, invece di tradire, possono perdonare.[11] Di fronte a tutto ciò, viva le apparenze!
Note
[4] Vari autori riportano che Keynes (1883-1946) arrivò tardi al banchetto finale di Bretton Woods, esausto e visibilmente affaticato, e che tutti i delegati presenti si alzarono in piedi per applaudirlo. Ma aveva perso.
[5] We Americans are laughed at around the world for losing a hundred and fifty billion dollars year after year, for defending wealthy nations for nothing, nations that would be wiped off the face of the earth in about fifteen minutes if it weren't for us. Our “allies” are making billions screwing us.
[7] Solo De Gaulle chiese la conversione in oro di una parte dei pacchi di dollari in mano alla Francia, siamo nel 1971; Nixon pagò e stabilì che da quel momento il dollaro e l’oro non erano più imparentati.
[8] A flight from the dollar could wreck America’s budget The currency’s dominance enables very high debts and deficits, meaning a plunge might spell disaster https://www.economist.com/finance-and-economics/2025/04/13/a-flight-from-the-dollar-could-wreck-americas-budget
[9] Segno dei tempi: la rivolta di Harvard alle ingiunzioni di Trump, in prima pagina dell’Osservatore Romano a https://www.osservatoreromano.va/it/pdfreader.html/quo/2025/04/QUO_2025_087_1704.pdf.html
Il commento precedente non conteneva anche l'apprezzamento per il Grande Baccelliere, sempre più raffinato. Né il suggerimento di correggere un piccolo errore di stampa: non 8 Maggio ma, suppongo, 1° Maggio!