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PNRR e sanità di prossimità, in attesa del mondo che verrà...


di Giuseppina Viberti e Emanuele Davide Ruffino


Il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato (farmacista di Bari ed esponente di spicco di FDI) intervenendo al Congresso della Società Italiana di Medicina Generale (Simg) svoltosi a Firenze sulle Case di Comunità, le Centrali Operative Territoriali (COT) e gli Ospedali di Comunità previste dal PNRR (mission 6) e dal DM 77, ha delineato quelle che possono essere i nuovi paradigmi del nuovo governo.



Il punto di vista del sottosegretario

Le tematiche sollevate dal sottosegretario, condivise con il Ministro della Salute, possono così sintetizzarsi, in ordine.

Un primo problema è dato dal fatto che queste nuove strutture non sono la soluzione per la sanità territoriale in quanto le 1350 Case di comunità saranno costruite ogni 40-50 mila abitanti e quindi nelle aree montane, nei piccoli comuni, nelle zone disagiate viene meno la mission di vicinanza ai cittadini per cui sono state istituite.

Una seconda preoccupazione deriva dalla mancanza di personale con il rischio che una volta realizzate poi non vengano utilizzate (se non sottraendolo ad altre attività).

Un terzo aspetto riguarda i fondi con cui finanziare queste strutture negli anni successivi, quando finiranno i soldi del PNRR.

Secondo l’onorevole Gemmato l’errore del PNRR è che guarda troppo alle strutture, mentre bisognava partire prima dai professionisti e poi dalle strutture e dalle apparecchiature; molte volte, secondo Gemmato, l’approccio alla sanità è stato ideologico e poco pratico mentre, secondo lui, la nuova ideologia è la salute del cittadino ed è necessario far capire che i soldi in sanità sono un investimento e non una spesa.


Soluzioni proposte dal sottosegretario

Puntare sulla rete dei medici di famiglia e sulle farmacie che “sono già presenti sul territorio e sono strutturati e nella disponibilità del SSN e per questo non si capisce perché bisogna creare dei duplicati come le Case di Comunità con tutte le criticità che hanno”.

Infine, ha affermato che tutto il comparto sanitario meriterebbe una maggiore dotazione economica per i suoi professionisti; in manovra finanziaria il fondo sanitario è stato aumentato di 2 miliardi di cui 200 milioni saranno utilizzati per incrementare le retribuzioni dei medici della medicina d’urgenza. Si deve razionalizzare una rete di professionisti per evitare la fuga verso il privato e le cooperative che causano una forte distorsione nell’assistenza sanitaria e si minano i bilanci regionali con disagi di tipo amministrativo (ad esempio, i medici non strutturati non possono compilare le ricette dematerializzate) e di rischio per il livello qualitativo delle prestazioni (in quanto viene a mancare la selezione).


Analisi delle soluzioni proposte

E’ indubbio che il fondo sanitario non può essere aumentato in modo esponenziale, ma i soldi a disposizione devono essere utilizzati dove serve e vanno eliminati gli sprechi dove ci sono.

Le dichiarazioni evidenziano aspetti in conflitto fra loro: è sicuramente vero che la mission 6 del PNRR è orientata a finanziare le strutture negli aspetti logistici e non affronta, e neppure potrebbe, il problema del personale necessario per farle funzionare in quanto l’organizzazione della sanità è demandata alle Regioni.

Se analizziamo la situazione guardando al futuro, la necessità di personale sanitario (medici, infermieri, tecnici, OSS, ecc.), amministrativo e informatico per far funzionare la sanità a livello ospedaliero e territoriale non può crescere in entrambi i comparti (ospedale e territorio) in modo indiscriminato e non programmato. In pratica se spostiamo attività dall’ospedale al territorio contemporaneamente non possiamo assumere o pagare di più centinaia di medici di medicina d’urgenza perché, in prospettiva, i Pronto Soccorso (PS) dovrebbero ridursi di numero in quanto tutti i pazienti con accesso inappropriato (codici verdi e bianchi) dovrebbero essere seguiti sul territorio (case di comunità o MMG/PLS). In questo caso la programmazione è fondamentale per non trovarsi con ospedali pieni di specialisti e territorio sguarnito.

I dati indicano che oltre la metà degli accessi in PS è inappropriato perché rappresentato da codici verdi e bianchi che si presentano in quanto non riescono a trovare sul territorio la risposta ai bisogni di salute (fisica e/o psicologica) che stanno cercando. Ed ecco che entra in gioco il fattore culturale ed educazionale dei cittadini. Per decenni si è insistito nel potenziare gli ospedali, mentre i medici di famiglia (MMG) erano diventati dei meri prescrittori di farmaci ed esami diagnostici per lo più indicati dagli specialistici ai quali avevano inviato i pazienti; oggi si richiede ai cittadini sempre più anziani e polipatologici e ai medici un “cambio di passo e di abitudini” rapido e senza discussioni.


Definire ruoli e competenze

Altro punto interessante delle dichiarazioni del sottosegretario riguarda le attività da affidare ai farmacisti (categoria alla quale lui appartiene). Non è chiaro quali saranno i compiti delle farmacie e dei farmacisti che non sono né medici, né infermieri e neppure tecnici di laboratorio per fare con strumenti denominati POCT (Point of care testing) gli esami di laboratorio più semplici e più richiesti nel normale follow up dei pazienti anziani con, per ora, l’autoanalisi con puntura dal dito (sistema molto diverso dal prelievo ematochimico in un laboratorio analisi). Forse il sottosegretario pensa che ogni farmacia che lo vorrà (soprattutto nei territori disagiati) si costruisca il suo piccolo laboratorio magari convenzionato con il SSR e un tecnico che esegue il test e il farmacista che lo convalida per essere più vicini ai cittadini? A questo punto, per effetto transitivo, si potrebbe ipotizzare una radiologia di base vicina alla farmacia dove fare RX di primo livello ed ecografie, perché no?

E’ necessario dichiarare in modo chiaro e trasparente che cosa si vuole che i MMG e i PLS e i Farmacisti facciano e che cosa si vuole dagli ospedali perché la “vicinanza al cittadino” non sempre è sinonimo di qualità. Il problema di come ridisegnare la sanità sarà sempre meno condizionato dalle impostazioni ideologiche e sempre più dalle condizioni operative ed economiche. Mantenendo rigide posizioni corporative (medici ospedalieri e di base ognuno a cercare di far emergere la sua categoria come la più necessaria, farmacisti che vogliono inserirsi in un mercato dove ci sono molti fondi a disposizione, professioni sanitarie che vogliono crescere numericamente e come responsabilità senza un piano razionale, pazienti pretestuosi sempre più anziani e complessi che hanno bisogno di assistenza e infine parenti e cargiver a pagamento che spesso non sono adeguatamente preparati) si rischia di sprecare risorse senza ottenere risultati apprezzabili.

Nell’attuale dibattito è pressoché assente la ricerca dell’ottenimento del massimo risultato in termini di miglioramento della salute, date le risorse disponibili e la mancanza di attenzione sull’argomento rischia di rendere vano ogni intervento.




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