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- a cura del Baccelliere
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Aggiornamento: 20 ore fa
Incanto e fragilità di Charlie Christian
a cura del Baccelliere

La fine di ogni anno è un fiorire di classifiche. Le riviste musicali riassumono l’anno trascorso con le segnalazioni dei dischi migliori. Chi scrive non è in grado di fare un’operazione del genere, sia perché occorrerebbe una conoscenza superiore che lasciamo volentieri a “critici, personaggi austeri, militanti severi”[1], sia perché la musica non è un campionato nel quale si vince o si perde. I pochi giorni che legano il Natale al Capodanno hanno un sapore di umanità sospesa. Si dà il caso che ci siano un paio di giornate - giusto due - nelle quali anche i centri commerciali sono chiusi e soprattutto vuoti. Anziché riflettere sull’anno trascorso, tracciandone bilanci non richiesti, preferiamo concederci un momento di inattualità, nella consapevolezza che “guardando quel che si ha lontano si capisce quel che si ha vicino”[2].
E allora che cosa c’è di più lontano da noi di Charlie Christian? Charlie Christian ebbe una vita breve. Morì nel 1942 a neanche ventisei anni come le rockstar di fine anni ‘60. La sua figura è importante, perché grazie a lui la chitarra si staccò dai fondali dell’orchestra per assumere un ruolo di primo piano. L’evoluzione fu possibile grazie all’introduzione degli strumenti amplificati. Fino all’arrivo della chitarra elettrica, i chitarristi avevano un ruolo subalterno, confinato alla sezione ritmica dove si limitavano agli accordi. Una sorta di rinforzo degli altri strumenti. Charlie Christian contribuì a svincolare la chitarra dai suoi stessi limiti.
La sua fortuna cominciò quasi per caso, grazie all’intuito eccezionale di John Hammond che, dopo che gli fu segnalato da Mary Lou Williams, lo impose a Benny Goodman nel 1939. A Goodman quel ragazzotto stropicciato[3], arrivato dall’Oklahoma, dopo essere nato nel Texas, con la sua chitarra elettrica non aveva fatto una grande impressione. Quando se lo ritrovò sul palco, ospite non invitato del suo combo[4], pensò di coglierlo impreparato proponendo di suonare Rose room[5], un pezzo poco conosciuto. Al contrario Christian inanellò una serie di chorus, uno più bello dell’altro, e mandò in estasi il pubblico.
Pochi giorni dopo era in studio con il leader per incidere Flying home[6]. Sarebbe diventato uno dei grandi successi di Goodman[7]. Per Christian cominciò un periodo frenetico in cui si incontrò con alcuni dei più grandi talenti della sua generazione. Suonava regolarmente al Minton's Playhouse, il club di Harlem dove i musicisti più avanzati si riunivano dando origine a jam session che sarebbero state l’embrione del bebop. Non era solo un virtuoso e un innovatore della tecnica chitarristica, ma uno dei creatori del linguaggio che avrebbe cambiato la musica jazz dei decenni successivi.
La sua parabola si consumò nel giro di poco più di due anni. Era affetto da tubercolosi da tempo. E la dolce vita di Harlem, con i suoi eccessi fatti di droghe e alcol, non lo aiutò. Morì a marzo del 1942. Più di ottant’anni dopo la sua eredità è ancora presente in molti chitarristi contemporanei. Non solo nel jazz ma anche nel blues e nel rock. Il suo magistrale Solo flight[8] è studiato come esempio di composizione improvvisata.
Anche in questo anno agli sgoccioli, invece di chiederci che cosa ne rimarrà - impresa improba - possiamo riferirci a qualche cosa che, del passato, è rimasto.
Note
[3] Arrigo Polillo, nel suo Jazz, la vicenda e i protagonisti della musica afro-americana descrive il suo abbigliamento: “un vestito verde su una camicia color porpora, un paio di scarpe gialle a punta, un cappello da cowboy e una fettuccina annodata a farfalla per cravatta gli davano proprio l’aria di un impossible rube un impossibile zoticone”.
[4] Goodman, durante le esibizioni della sua orchestra, era solito riservare un momento a un piccolo gruppo,un sestetto in genere, di cui facevano parte, fra gli altri, solisti eccellenti come Gene Krupa, Teddy Wilson o Lionel Hampton.
[7] Dopo aver firmato con Goodman, Christian prese la chitarra a cui è sempre associato, una Gibson ES-150, la ES sta per Electric Spanish e 150 per i dollari che costava. La chitarra era dotata di un singolo pickup al manico che sarebbe diventato universalmente conosciuto come il pickup Charlie Christian











































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