Il posto del "politico" nella spiritualità di Papa Bergoglio
- Giancarlo Rapetti
- 27 apr
- Tempo di lettura: 4 min
di Giancarlo Rapetti

Due giorni dopo la morte, il Parlamento italiano, a Camere riunite, ha commemorato Papa Francesco. Al contrario di quanto sostenuto da Elly Schlein, non c’è stata molta ipocrisia. Semplicemente ognuno ha evidenziato gli aspetti che sentiva più vicini, come qualche intervento ha esplicitamente ammesso. Una modesta strumentalizzazione, che sta nei limiti del gioco della politica. Si è trattato di una seduta composta, senza accenti polemici, ma anche senza voli. L’unico a fare un intervento al di sopra degli standard è stato Matteo Renzi. Ha parlato a braccio, con l’intento non di esporre fatti ma di suscitare emozioni, con la sua oratoria apparentemente semplice ma sapientemente costruita. La stessa Giorgia Meloni, ripetutamente inquadrata dall’accorta regia RAI, ne era evidentemente affascinata. La Presidente del Consiglio non è riuscita a fare un discorso altrettanto brillante: il suo è stato un intervento ben documentato, puntiglioso e puntuale, ma non è riuscita a suscitare coinvolgimento, non è andata oltre il compito ben fatto. Non è così strano: Giorgia Meloni è un talento naturale della comunicazione politica, ma qui doveva muoversi su di un terreno che non è il suo. L’aggressività, l’irrisione, la correzione dei fatti, l’autocompiacimento, la lisciatura populista, sarebbero stati tutti fuori luogo e, accortamente, se ne è tenuta lontana. E’ rimasto un testo quasi burocratico, ineccepibile, ma senz’anima.
Anche l’omelia del cardinale Giovan Battista Re al funerale di Papa Francesco in Piazza San Pietro è stata un resoconto ben documentato, ma di grande valore: in pratica una specie di rapporto postumo di fine mandato, fatto per conto del defunto che non poteva più parlare, ma fedele. Nei limiti in cui può essere interpretata fedelmente la complessità di un pensiero, di una dottrina, di una vita.
Sul pontificato di Papa Bergoglio e sulla sua persona si sono espressi ampiamente i migliori commentatori. Difficile aggiungere qualcosa, eppure non si può resistere alla tentazione di una ulteriore considerazione sul rapporto tra religione e politica. Un mio amico e collega aveva commentato a caldo la morte del Papa, dicendo così: “Non essendo credente, posso solo rimpiangere il politico. E lo rimpiango molto”. Già di primo acchito, questa frase non mi convinceva.
Alcune affermazioni “politiche”, come alcune omissioni, di Papa Bergoglio sono almeno controverse. Nel 2015 un commando islamista sterminò l’intera redazione della rivista satirica parigina Charlie Hebdo, che aveva pubblicato una vignetta su Maometto. Il suo commento fu: “Se qualcuno dice una parolaccia contro mia mamma, si deve aspettare un pugno”. Presumibilmente intendeva dire che vanno evitate le provocazioni (ma se una rivista satirica non fa provocazioni, più o meno riuscite, che cosa fa?); in pratica la frase fu vissuta come una giustificazione, o almeno una attenuante, della terribile strage.
Nello stesso anno 2015 ricevette in Vaticano il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmud Abbas, nome di battaglia Abu Mazen, e gli disse “sia un angelo della pace”: non si trattava di un riconoscimento, ma di una esortazione; è probabile, tuttavia, che nel mondo arabo e in quello cosiddetto propal sia stato accolto e propagandato come riconoscimento. E anche come esortazione, dato il curriculum dell’interlocutore, appariva poco credibile.
Più recente è la celebre frase “la NATO abbaia ai confini della Russia”, forse solo la citazione di un concetto espresso da qualcun altro (nell’epoca dei social, ci sono molte notizie ma nessuna certezza informativa): avendola ripetuta, chiunque si sente autorizzato a rivenderla come parola del Papa. Il quale, nel 2024, ha anche osservato che la “martoriata Ucraina” soffre perché non ha “il coraggio della bandiera bianca”.
Alcuni fanno anche notare che il Papa ha sempre parlato poco delle violenze subite dai cristiani nei paesi islamici. E qui c’è una spiegazione semplice: prendere posizione probabilmente, molto probabilmente, non farebbe cessare le violenze, anzi le aumenterebbe.
Si potrebbe continuare, ma questi pochi esempi, comunque, rendono lecite le perplessità sul Papa “politico”. Eppure Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, è stato un uomo di altissimo livello, un Papa straordinario, vicino alla gente non per modo di dire, una testimonianza vivente dei valori religiosi professati dalla Chiesa che dirigeva. Proprio perché non può essere ridotto alla dimensione politica. La politica si occupa dei fatti, la religione delle intenzioni. La politica pensa alla società, la religione alle anime. L’orizzonte della politica è la vita terrena, la religione va oltre. La religione perdona i peccatori per redimerli, la politica dovrebbe punirli per salvaguardare l’ordine sociale.
Papa Francesco voleva applicare il Vangelo, in cui la rinuncia alla violenza, alla guerra, anche alla punizione, è un a priori unilaterale, che non dipende dal comportamento altrui. Solo se cerchiamo di assumere il suo punto di vista, possiamo capirlo. Ma siccome lo sentiamo autentico, lo apprezziamo senza riserve, anche senza capirlo sino in fondo. D’altra parte la religione, qualunque religione, risponde alla umana paura della morte, unica certezza del nostro vagare nella vita, unica paura a cui nessuna politica potrà mai dare risposta.
Enzo Bianchi, fondatore e già a lungo priore della Comunità di Bose, ha sintetizzato il tutto in due frasette. La prima: nello stile di Bergoglio c’è un po’ di carattere monferrino, il dire quello che si pensa, e tenere fede a quanto si dice. La seconda: Bergoglio non pensa alla fratellanza cristiana (cioè tra coloro che condividono gli stessi valori), ma alla fratellanza umana (anche, soprattutto, tra i diversi e i distanti).
Il rapporto tra religione e politica è una delle cose più complesse che ci siano. C’è stato un periodo (e in non poche parti del mondo è ancora così) in cui la politica è stata subordinata alla religione. L’Occidente è diventato laico, tenendo distinti i due livelli, ma è alle prese tutti i giorni con il difficile rapporto tra la coscienza e la legge, tra l’anima e il contratto sociale. Tuttavia la laicità, come la democrazia, ha molti difetti, ma non esiste niente di meglio sotto il sole. D’altra parte, come è stata osservato, nel Vangelo c’è l’affermazione più laica di sempre: “Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”.
Comentarios