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Da Trump a Biden – Effetti del manicheismo nella politica

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi |

Seguire i fatti che riguardano la nostra società e riuscire a formulare un giudizio proprio, considerato il ritmo con cui muta l’immagine degli opinion leader, sta diventando un’impresa ardua. Prendiamo Liz Cheney, figlia di Dick Cheney, l’ex vicepresidente degli USA con George W. Bush (su cui hanno girato anche un film molto critico, dal titolo Vice – L’uomo nell’ombra) ora che è diventata la guida della rivolta repubblicana contro Trump, si è quasi trasformata in un idolo per i democratici. Ma il cambio di immagine più significativo fu forse la storia sul finire dell’Ottocento di Alfred Dreyfus, diventato celebre come il “caso Dreyfus”, su cui intervenne anche il romanziere Emile Zola, con l’immortale “J’accuse”, sinonimo universale di denuncia contro le ingiustizie. Capitano dell’esercito francese, ebreo di origini alsaziane, Dreyfus fu ingiustamente accusato di tradimento a favore dei prussiani. Vent’anni per essere riabilitato. In Italia sarebbe infinito l’elenco di personaggi denigrati ripetutamente e poi riabilitati: l’abitudine coinvolse anche l’allora Capo dello Stato Giovanni Leone. Per non parlare dell’infamia che colpì un innocente Enzo Tortora. La prassi dell’accusare un soggetto ben oltre le proprie colpe, per poi riabilitarlo, indurrebbe ad un maggior senso di equilibrio, difficile da realizzare nei momenti di crisi.Anche se, per quanto riguarda Trump, è oggettivamente complicato… Quando si ha paura, diventa istintivo prendersela con qualcuno, ma se a cadere nella trappola è la classe dirigente, il problema assume una valenza politica. È accettabile che nella foga della competizione elettorale ci si rivolga accuse pesanti, quello che è meno spiegabile è l’alternare accuse iraconde a dimostrazioni di amicizia. La mancanza di ideologie con cui i candidati si presentano al corpo elettorale, induce inevitabilmente la politica ad una ricerca ossessiva del consenso immediato. Una delle ragioni è la decadenza dei temi oggetto di discussione: l’attenzione si sposta dall’oggetto del contendere, ai difetti del soggetto che prende una posizione. Eppure le conoscenze basate sull’intelligenza artificiale dovrebbero innescare meccanismi con cui un individuo e la società più in generale riescono a raggiungere nuove forme di conoscenza grazie alla gran massa di informazioni acquisibili. Ma la maggior conoscenza non riduce la degenerazione data dall’esasperare alternativamente l’approvazione o il disprezzo verso un soggetto, in base alle proprie convenienze continenti. Il problema non è nuovo, risale ai principi religiosi elaborati nell’antica Persia da Mani (altrimenti noto come Manicheo) che nel 3° sec. d.C. interpretò la realtà come incessante lotta tra il bene e il male. Il problema è che nella nostra realtà i due poli si alternano e si sostituiscono ad una velocità difficile da assimilare. Il manicheismo portava a contrapporre in modo rigido e non negoziabile condotte e impostazioni culturali ritenute incompatibili: il moderno manicheismo esprime lo stesso concetto, ma solo per un periodo limitatissimo di tempo. Mai come oggi, nella storia, si registrano le reazioni più contraddittorie. Per esempio, in politica, come si fa a sintetizzare una linea comune, quando si passa da europeisti convinti, ad antieuropeisti (e viceversa) nel volger di pochi anni, da denigratori delle istituzioni a paladini delle medesime, da innocentisti a complottisti? Si è liberi di pensare che una cosa sia giusta o sbagliata, ma almeno sarebbe auspicabile rimanere fermi sulle posizioni per un lasso di tempo sufficiente per approfondirne le ragioni. Le riflessioni collettive, intese quale sistema di pensiero consolidato, sono insite della democrazia rappresentativa, sia perché appartenenti al pubblico (cioè diffusa fra i più), sia perché tendenzialmente indirizzate al popolo. Nelle moderne società, il poter influire o controllare la pubblica opinione ha dato origine ad un’infinità di studi e di esperienze empiriche, alcune motivate da genuini propositi di accrescere le conoscenze, altre impostate per manipolarla nei diversi contesti, politici e commerciali in particolare (lo sviluppo degli strumenti di comunicazione di massa, ha assunto dimensioni tali da determinare gli equilibri della società). Il concetto di opinione pubblica si affermò in Europa con le crisi dei regimi assoluti, dotati di solidi apparati in grado di dettare il comportamento di tutto il popolo che si riconosceva nel sovrano. L’alfabetizzazione, la formazione di movimenti politico-culturali e l’affermazione dei mass media portò invece ad esprimere giudizi su tutti gli aspetti della società. Processo eterogeneo, non privo di squilibri e di contraddizioni, nel quale si è andato ad affermare un antagonismo frenetico diffuso a tutti i livelli: una democrazia al cardiopalma o una confusione in cui diventa facile l’inserimento di elementi di confusione da cui deriva non solo lo sconcerto di molti cittadini, ma la possibilità di affermarsi di forme di sfiducia esasperata, che possono portare all’occupazione dei luoghi simbolo della democrazia. Ma questa, appunto, non è più democrazia.

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