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Anche la "capra" non ne può più di Sgarbi

di Menandro


"Capra!" Il marchio di qualità che il sottosegretario alla cultura del governo Meloni, Vittorio Umberto Antonio Maria Sgarbi, noto anche come lo Scibile per la sua immensa conoscenza artistica e non, affibbia e dispensa con estrema generosità "urbi et orbi", non ha risparmiato domenica sera l'inviato di Report, reo di aver insinuato nell'immaginario collettivo del pubblico televisivo che nei suoi confronti aleggiano più di un'ombra sulla sua rettitudine politica e professionale.

Ora, per costume e temperamento, Sgarbi non è uomo incline all'ira, né tende alle risse verbali, in particolare nelle ospitate dei salotti televisivi. Anche se, una tantum, trascinato in "scaramucce", che gli hanno procurato qualche fastidioso (economicamente) strascico giudiziario, da gentiluomo qual è non ha esitato a pagare all'offeso il quantum stabilito dalla sentenza del magistrato.

Gli amici più intimi (i maligni a questo punto direbbero le amiche più intime, ma per la nostra educazione classica non siamo tra quelli) lo etichettano come un G&G, che non è una marca di whiskey, ma l'acronimo di "Gentile and Garbato". Qualità unanimemente riconosciute, con cui è solito rivolgersi al "volgo" non più disperso, a patto però che quello stesso non intenda né l'orecchio, né sollevi la testa, come nel coro dell'Adelchi di manzoniana memoria. Cioè, che non si permetta, in forza della democrazia conquistata, di mettere in discussione il suo Sé, sintesi invidiabile della sua sapienza, del suo sapere, della sua cultura. Ma ciò che lo Scibile più di ogni altra cosa non regge, e percepisce come offensivo, è il contraddittorio: quell'ardire incomprensibile di sollevare il dubbio sulla sua parola, sul suo Verbo. Per usare ancora le parole manzoniane, che quel volgo "sogni la fine del duro servir..."

In quel deplorevole caso, lo Scibile si scopre furioso, i suoi lineamenti si contraggono, lo sguardo si fa cupo e la postura si smarrisce disarmonica nella veemenza dell'eloquio. A quel punto, i suoi interlocutori, impudenti, ma soprattutto imprudenti, diventano nemici della prima ora, e come l'Orlando furioso, anche se non con la stessa plastica figura che gli ricamò Ludovico Ariosto e privo della Durindana, tratta loro come saraceni, corpi da essere metaforicamente trafitti dal suo spadone, ovvero dalle sue parole, la più gioiosa delle quali ha il suono del caprino, che le note zoologiche dicono appartenere a una sottofamiglia di bovidi... In effetti, "capra", se non altro per volume, dà l'impressione di essere più gentile e garbato di "mucca", "vacca", "bue". Noblesse oblige!

"Capra, capra, capra!", dunque non è un epiteto di disprezzo, come si abbandonano alla critica preconcetta i suoi denigratori, ma l'invito che lo Scibile rivolge al volgo affinché si emancipi, studi e, soprattutto, elemento fondamentale, non interpreti in modo goffo e plebeo, anche sotto il profilo epistemologico, le leggi dello Stato con quelle che soltanto a Lui sono riservate, applicabili e applicate, corsie preferenziali che si sostanziano in poco o nulla, come è giusto che sia per chi sa che la propria immagine coincide con l'Assoluto, intellettualmente parlando.

Quindi, è più che spiegabile e, per alcuni versi condivisibile, la sua reazione esplosiva su chi, nell'esercizio delle sue prerogative e funzioni di giornalista d'inchiesta, gli ha contestato la partecipazione ad aste e all'acquisto di opere d'arte, ricevendone come risposta, soltanto un po' classista e sprezzante, ma solo un po', che per ricchezza lui se lo può permettere. All'opposto, dello stesso avviso non è la Procura di Roma che, secondo quanto pubblicato dal Fatto Quotidiano, lo vede al centro di un'indagine per presunti debiti verso l'Agenzia delle Entrate. Accuse che prudentemente lo Scibile non ha convertito verso i magistrati in "capra, capra, capra", limitandosi a denunciarle come "un altro dei falsi di un giornale che usa la diffamazione come strumento ordinario", aggiungendo nei titoli di coda storiacce di lettere anonime, furti informatici, ex collaboratori non prettamente fedeli, il tutto trasformato in romanzo dal solito quotidiano diffamatore.

In parallelo, però, corre un presunto conflitto d'interesse (conferenze e partecipazioni a mostre retribuite) che investe lo Scibile con l'Agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato) e che gli ha portato in dote frasi non propriamente elettive del suo ministro Gennaro Sangiuliano.

Indignato, in un'intervista sempre al Fatto Quotidiano, il ministro della Cultura, saggiamente non gli ha però ritorto il motteggio "capra, capra, capra", consapevole della distanza che culturalmente lo separa (ancora) dal suo sottoposto e dell'oggettiva assenza di titoli accademici per dare giudizi di merito (quelli li lascia al suo collega della Pubblica istruzione Giuseppe Valditara). Sangiuliano ha così mantenuto, anche per costituzione fisica, un basso profilo, contraddistinto comunque da un linguaggio più mordace che equilibrato nel ricordare al volgo sociale, tra una risposta e l'altra, alternando il privato al politico, che lo Scibile non è tra le sue frequentazioni preferite, che non può sapere tutto ciò che combina, che non l'avrebbe preferito ad altri per il ruolo di Sottosegretario, che lo vede una volta ogni tre mesi. Infine con una raffinata chiosa che ha riportato alla memoria il migliore Andreotti: "... voglio averci a che fare il meno possibile".

Probabilmente, lo vorrebbero anche le capre.



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