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Affari e sport: effetti di pandemia e guerra

di Emanuele Davide Ruffino e Luca Alpozzi |


Lo sport costituisce una componente significativa del Pil delle nazioni occidentali: in Italia rappresenta quasi il 2% per un valore di 30 miliardi, che salgono a 60 con l’indotto. Ma per la sua visibilità e per le passioni con cui si accompagna, rappresenta qualcosa di ancora più grande e la reazione di fronte alla crisi russa lo dimostra, addirittura anticipando le decisioni delle organizzazioni dello sport, CIO e FIFA. La squadra di calcio polacca, pur con il rischio di perdere a tavolino, ha subito annunciato di non voler giocare con i russi. Lo sport, seppur già provato da anni di lockdown ha così dato una risposta alla guerra in Ucraina.

“Non è una scelta facile, ma nella vita ci sono cose più importanti del calcio”. Con queste parole la Federcalcio polacca ha annunciato di non voler giocare i playoff con la Russia, seguita a ruota da Svezia e Repubblica Ceca, appartenenti allo stesso girone. Nel volgere di poche ore la decisione si è allargata alla Formula 1, i cui team hanno escluso la loro partecipazione al GP di Sochi. Nette prese di posizione contro l’aggressione russa

Il polacco Zbigniew Boniek, giocatore juventino degli anni Ottanta che l’avvocato Gianni Agnelli definì “bello di notte” per le sue reti nelle gare serali in Champion’s League), oggi vicepresidente Uefa ha sentenziato: “nel calcio non c’è posto per la Russia, per un paese che ha invaso un altro paese”.A queste ed altre prese di posizioni spontanee si stanno aggiungendo le decisioni delle istituzioni sportive: la Fifa intende sospendere la Russia dai play off, escludendola di fatto dai Mondiali. Oltre il mondo sportivo non potrà andare perché, diversamente dall’esclusione globale del Sudafrica per l’apartheid e per la guerra conseguente alla frammentazione della Jugoslavia non vi è, né vi potrà essere, una risoluzione Onu, in quanto la Russia è membro permanente del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e si opporrebbe a una simile decisione. Il messaggio però lanciato dal mondo dello sport che, per sua natura, tende a unire le persone, è stato chiaro e forte: quello che sta succedendo in Ucraina non è accettabile. A farne le spese sono anche gli atleti russi, costretti a subire le conseguenze di una guerra a loro estranea. Il CIO raccomanda di “non invitare atleti russi e bielorussi nelle competizioni sportive e, laddove non fosse possibile evitare la loro partecipazione, fare in modo che siano neutrali, senza inno e bandiere”. Non vanno colpiti gli atleti, ma chi offende lo sport. Le conseguenze del lockdown sul sistema sportivo

Lo sport, dopo un processo di trasformazione in industry, durato decenni, aveva bisogno di una fase di rifondazione, sia morale che economico-finanziaria. La crescita del valore dei diritti televisivi ha contribuito ad immettere ingenti flussi di denaro all’interno del sistema, causando uno smisurato aumento dei costi ed inducendo in politiche di overspending per accaparrarsi i migliori atleti. Si offrivano e si offrono lauti ingaggi che finiscono per erodere quasi interamente la crescita dei ricavi realizzata grazie ai maggiori introiti dei diritti televisivi. La strategia competitiva di alcuni club non si basa più sull’offrire la possibilità di formare un gran numero di giovani alla pratica sportiva, ma di ricercare il talento già affermato. Il business model sportivo è andato in crisi con lo scoppio della pandemia che ha significativamente ridotto gli introiti verso tutte le attività agonistiche: dalle società quotate in borsa alla sperduta palestra di paese. Un sistema capillarizzato di scouting aveva fatto perdere di vista la finalità di far vivere meglio le persone attraverso la pratica sportiva, indipendentemente dal risultato agonistico. Lo shock derivante dalla crisi post covid 19 ha costretto a rivedere i metodi di gestione connessi alle attività sportive, rendendole più sostenibili. La grande sfida sarà trasformare le società in media company in grado di autofinanziarsi e rendere accessibile lo sport al maggior numero di persone, sia come praticanti che come appassionati. Società calcistiche avvitate nella crisi

L’effetto sulle società quotate in borsa è stato evidente: i mancati incassi ammontano a milioni per ogni partita non giocata (per esempio, la Juventus ha perso 5 milioni d’incasso del ritorno degli ottavi di Champions League contro l’Olympique Lyonnais e più di 3 milioni attesi dal ritorno di Coppa Italia contro il Milan). Al contrario, i costi del personale sono aumentati (Real Madrid CF del 4 per cento rispetto all’anno precedente, nonostante i calciatori e lo staff si siano accordati per una riduzione temporanea dello stipendio del 10 per cento; il Paris Saint Germain è la società che ha registrato il maggiore incremento (10 per cento, principalmente per l’aumento del monte ingaggi complessivo dovuto a nuovi acquisti. Le regole stanno cambiando: durante il lockdown gli incassi da botteghino hanno subito un impatto devastante, dettato sia per la sospensione di molte manifestazioni, sia dal timore della gente di frequentare luoghi di possibile contagio, mentre la crisi ucraina ha portato il magnate russo Roman Abramovich all’annuncio della cessione della sua società inglese, il Chelsea, e a distribuire il ricavato alle vittime della guerra. Nelle stagioni 2018/2019 gran parte delle società professionistiche avevano fatto registrare un utile netto: situazione che si è invertita nel 2020 (solo FC Bayern Monaco e Real Madrid CF tra le grandi, hanno registrato un modesto utile). La crisi dovuta all’esplosione della pandemia ha messo alla prova la sostenibilità finanziaria dell’ecosistema sportivo nel suo insieme, evidenziandone le fragilità. I club calcistici hanno dovuto improvvisamente fare i conti con problemi di liquidità limitata, con tutti i loro flussi di reddito bloccati dall’assenza di entrate, causa la rinegoziazione, sospensione o annullamento dei pagamenti dai media e dagli accordi commerciali. Le ipotesi di Financial Fair Play

Gli anni prima del lockdown sono stati un periodo di crescita, trainato dalla trasformazione digitale che ha portato ad accordi televisivi e di sponsorizzazione sempre più corposi. Prima della pandemia, si faceva finta di non vedere che gli stipendi dei giocatori, insieme alle crescenti commissioni di trasferimento degli agenti, stessero mettendo a dura prova le finanze dei club. Tra le varie implicazioni della pandemia, potrebbero esserci dei cambiamenti anche nelle modalità di comunicazione con i fan. I club sono sottoposti a una maggiore pressione per fornire agli sponsor (alcuni di questi, in particolare le compagnie aeree, anch’esse in crisi) un valore aggiunto, con maggiore attenzione all’eticità. Le ipotesi di Financial Fair Play volte a sostenere il settore giovanile, per ridurre il gap tra le società più strutturate da quelle meno strutturate che non si possono permettere giocatori costosi), s’ammanta di grande interesse. Forse non ce ne siamo accorti, ma pandemia e guerra costringeranno finalmente lo sport a guardarsi dentro.

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