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50 anni di regionalismo: lo Statuto del Piemonte

di Marco Travaglini|


Nel 1970, le Regioni divennero una realtà. L’Italia dava così concretezza all’art. 114 della Costituzione che recita: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con proprio statuti, poteri e funzioni secondo i principati fissati dalla Costituzione”. La Porta di Vetro continua la sua galleria di immagini, curata da Marco Travaglini, ex consigliere regionale, con i lavori che il Consiglio regionale dedicò all’elaborazione dello Statuto regionale. Terza puntata

La prima parte della legislatura regionale “costituente” del Piemonte (giugno 1970 – 31 luglio 1975) venne dedicata all’elaborazione dello statuto e alle osservazioni presentate al Governo in merito alle competenze che lo Stato doveva trasferire alle Regioni. L’elaborazione dello Statuto, atto con il quale l’ente disciplinò la propria organizzazione e il funzionamento delle attività non regolate direttamente dalla Costituzione, fu contrassegnata da una forte e generalizzata sintonia fra le forze politiche, motivata da una comune volontà innovativa.Dai discorsi pronunciati nelle sedute del Consiglio si colse la volontà di dare alla Regione la connotazione di ente moderno, efficiente, democratico. Le prime due Commissioni che si formarono diedero ai propri lavori una tempistica molto stretta e impegnativa: per la Commissione Statuto (presieduta da Gianni Oberto Tarena e composta dai consiglieri Armella (poi sostituito da Calleri), Bianchi, Rivalta, Sanlorenzo, Simonelli, De Benedetti, Zanone, Carazzoni, Gandolfi e Giovana, l’impegno era di rispettare la scadenza dei centoventi giorni fissata dall’art. 75 della legge 10 febbraio 1953 n. 62 (la cosiddetta legge Scelba); per la Commissione Regolamento (presieduta da Raffello Battino noto come Paolo Vittorelli e composta dai consiglieri Conti, Falco, Berti, Marchesotti, Nesi, Cardinali, Gerini, Curci, Gandolfi e Giovana) si trattava di arrivare alla sua adozione addirittura in tempo utile per potersene servire durante la fase dibattimentale dello Statuto. Un Regolamento “provvisorio” del Consiglio venne approvato nella seduta del 6 ottobre 1970. Nella Commissione Statuto ogni componente offrì il massimo dell’impegno si impegnò dedicandosi a tempo pieno nel delicato lavoro di redazione di un testo condiviso. A riprova di ciò vale la pena citare un fatto che testimonia il clima alacre di quel periodo. Avvicinandosi la scadenza fissata della legge Scelba, impegnati a fondo su questioni di principio di una certa importanza, venne concordata un’accelerazione dei lavori proseguendo il dibattito e il confronto anche fuori orario e in sedute notturne. Le riunioni si svolsero fino a notte fonda, protraendosi a volte fino alle prime ore dell’alba a Palazzo Cisterna (sede della Provincia di Torino, in via Maria Vittoria); le lunghe discussioni, i diversi punti di vista e le varie riformulazioni dei testi impegnarono i commissari a lungo e capitò spesso ai “costituenti” di incrociare nell’atrio del palazzo il personale delle pulizie che si apprestava a iniziare il proprio servizio. Il testo di proposta della Commissione giunse in aula il 30 ottobre e la discussione ebbe inizio lo stesso giorno. Il serrato confronto si sviluppò fino al 10 novembre con cinquanta ore di dibattito durante le quali furono presentati 300 emendamenti e occorsero ben 515 votazioni per approvare l’articolato definitivo.Alla scadenza dei centoventi giorni previsti dalla legge, il 10 novembre (l’orologio era stato fermato alla mezzanotte, anche se la discussione terminò di fatto fino alle 7 del mattino successivo) il Consiglio regionale si dotò del proprio Statuto con una maggioranza di 45 voti su 47 votanti. Lo Statuto diventò successivamente, con alcune modifiche non sostanziali richieste dal Parlamento, legge di Stato in data 22 maggio 1971. Quello storico dibattito e la votazione finale si svolsero nell’Aula grande di Palazzo Madama, antica sede del Parlamento subalpino, essendo stata per l’occasione abbandonato la sede abituale delle riunioni e cioè la sala del Consiglio provinciale di Torino nel Palazzo delle Segreterie. Lo Statuto Regionale approvato (Legge n. 338, 22 mag­gio 1971) con il voto favorevole di tutte le forze politiche dell’arco costituzionale presenti in Con­siglio regionale conteneva importanti norme, fortemente innovative. In merito ai servizi sociali lo statuto all’art. 4 precisava: “La Regione, av­valendosi delle proprie competenze, in concorso con lo Stato e gli Enti locali, opera in particolare per (…) coordinare e sviluppare i servizi sociali, con particolare riguardo alla salute, alla sicurez­za sociale, all’abitazione, alla scuola e alla for­mazione professionale, all’assistenza sociale, al­la viabilità e ai trasporti, alle attività turistiche, all’impiego del tempo libero ed allo sport”. Sulla tutela della salute dei cittadini, l’art. 6 dello Statuto si esprimeva così: “La Regione, nell’ambito delle sue competenze, promuove ed attua un’azione legi­slativa e regolamentare intesa a creare ed orga­nizzare gli strumenti più efficaci per un preciso intervento a tutela della salute dei cittadini, e specificatamente: a) costituisce organismi sanitari ed altri stru­menti antinfortunistici, di medicina preventiva, di lavoro per tutelare la salute e prevenire le cause che le provocano danno; b) favorisce la partecipazione dei comitati di fabbrica, dei lavoratori e delle categorie profes­sionali alla gestione degli organismi e degli stru­menti antifortunistici, di medicina preventiva, igiene generale, di igiene mentale, nonché di me­dicina curativa e riabilitativa”. L’impianto dello Statuto era incentrato su presupposti e scelte che si articolavano su diversi punti a partire dall’ “effettiva partecipazione di tutti i cittadi­ni all’attività politica, economica e sociale della comunità regionale e nazionale”. Al riguardo veniva precisato che “la Regione riconosce che la partecipazione dei cit­tadini alle scelte politiche, alla funzione legisla­tiva ed amministrativa e al controllo dei poteri pubblici è condizione essenziale per lo sviluppo della vita democratica salvaguardia dei diritti di uguaglianza e di libertà di tutti i cittadi­ni”. Nella carta fondamentale della Regione Piemonte venivano sottolineate l’importanza e il ruolo dell’informazione; la consultazione degli enti locali, delle or­ganizzazioni sindacali e delle formazioni sociali, delle istituzioni culturali, delle associazioni e de­gli organismi in cui si articola la comunità regio­nale (art. 9); il principio di delega agli enti locali (art. 67); gli interventi per la programmazione dello svi­luppo globale e socio-economico della Regione (art. 4). In pratica, definiti i caratteri salienti della “carta d’identità”, il cammino del nuovo Ente iniziò concretamente a muovere i propri passi. 50 ANNI DI REGIONALISMO, TERZA PUNTATA

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