SETTIMANA FINANZIARIA. L'ira di Trump verso la Cina fa crollare le Borse europee
- a cura di Stefano E. Rossi
- 9 ott
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a cura di Stefano E. Rossi

A poche ore dalla chiusura dei battenti avremmo scritto con toni entusiastici sui valori di Piazza Affari e delle principali piazze europee. Se non fosse che in finale di seduta è arrivato, inattesa, lo sfogo di Trump contro il nemico di turno, stavolta la Cina, colpevole di contrarre l'export di terre rare verso gli Usa. Così l'euforia si è trasformata in depressione... dinanzi all'iraconda Casa Bianca che ha minacciato di aumentare i dazi verso l'Impero celeste, dando vita a una guerra commerciale, dopo che se ne è chiusa una vera in Medio Oriente.
Piazza Affari registra il capitombolo di Ferrari dopo l'annuncio del Cavallino rosso elettrico. È proprio vero: che tocca i fili muore e il titolo ha perduto nell'ultimo mese oltre il 15 per cento e nell'ultimo anno quasi il 18 per cento. L’auto green era stata presentata dal presidente John Elkann all’evento societario Capital Markets Day. Ma il vero colpevole del crollo dell’azione sui mercati è un altro. È il piano industriale 2030 a deludere tutti, nonostante l’annuncio di un piano di dividendi in crescita, dal 35 al 40%, che esprime 7 miliardi di euro di piena spettanza degli azionisti. Non è piaciuta la revisione al ribasso delle stime commerciali, ritenute penalizzanti per gli investitori in relazione alla quotazione raggiunta dal titolo. Però, nello stile dell’azienda, potrebbe anche trattarsi della rivelazione di stime cautelative.
In Germania, per restare in tema di marchi di lusso e sportivi, frena anche Porsche. Vendite totali in calo del -6%, a causa di un pesante -26% di immatricolazioni sul mercato cinese.
Il costo della benzina in discesa
La pace a Gaza fa precipitare il petrolio sotto i 60 dollari al barile. Il ribasso trova anche un valido alleato nell’aumento delle estrazioni per ulteriori 137 mila barili/giorno da parte di Russia, Arabia Saudita e altri sei paesi Opec. Al contrario di quello giallo, per l’oro nero è in salita l’offerta di prodotto. Secondo gli analisti, in futuro la tendenza del prezzo continuerà ad essere a lungo ribassista. Nel breve periodo, solo il perdurare dello shutdown (la sospensione dei pagamenti federali Usa) riuscirebbe a fermarla. Anche il dollaro scende da 1,18, dello scorso mese, fino a 1,156. L’effetto combinato delle due quotazioni ci suggerisce che è un buon momento per fare il pieno di carburante all’automobile.
Schizza in alto l'oro
Mercoledì l’oro supera i 4.000 dollari l’oncia (110 euro al grammo). Quest’anno sta segnando il maggior rialzo del metallo prezioso dal 1997. Ci riporta agli anni Settanta caratterizzati dalla crisi petrolifera e all’avvilente ricordo della circolazione delle auto a targhe alterne. L’incertezza della situazione internazionale è alla base della corsa all’oro. Ma non ci sono solo le guerre commerciali e quelle guerreggiate. Anche l’interruzione dei guadagni sulle criptovalute, oltre all’affacciarsi dei timori di una bolla di borsa, finora trainata dai titoli tecnologici dell’AI (Intelligenza artificiale) fanno la loro parte. Se il prezzo sale è perché cresce la domanda e qualcuno ne è responsabile. Infatti, il fenomeno si determina per l’accumulo delle riserve auree da parte dei principali attori istituzionali, per prime le banche centrali.
L'America salva (per il momento) l'Argentina e Milei
Sul fronte internazionale, c’è sollievo per lo scampato pericolo d’insolvenza dell’Argentina. Trump convoca il Presidente sudamericano alla Casa Bianca. Javier Milei aveva preparato le valige per uscire di scena dalla Casa Rosada, a causa della conclamata insolvenza dello Stato. Invece le userà per andare la prossima settimana a Washington. L’annunciato swap (in questo caso: l’acquisto di pesos contro dollari) per un valore di 20 miliardi di dollari riempie le casse del Paese sudamericano, ormai desolatamente vuote. Ma questo non è il solo proposito del versamento. Evita al premier Javier Milei un disastroso risultato alla tornata elettorale di fine ottobre. Salva anche l’FMI, il Fondo Monetario Internazionale, dal rischio di un prematuro passaggio a sofferenze di un maxi prestito erogato all’Argentina a inizio anno. Vedremo se l’intervento finanziario deciso da Trump sarà il solito pannicello caldo che, a tendere, manderà in fumo i soldi degli americani oppure un provvedimento che risolverà le ricorrenti fragilità finanziarie di Buenos Aires.
È il momento di fare affari nelle pampas. Infatti, sempre in Argentina in queste stesse ore l’ENI ha siglato un accordo da 100 miliardi di dollari per produrre 12 milioni di tonnellate metriche di gas liquefatto all’anno (9 miliardi di metri cubi), che potranno essere esportati a partire dal 2027. L’impianto è quello di Vaca Muerta, una delle riserve più vaste al mondo.
Rapporto CGIA sulla soddisfazione dei lavoratori in Italia
Ritorniamo tra le mura di casa nostra. È felice chi lavora in montagna. Sarebbe quanto emerge da una relazione dell’Ufficio Studi della CGIA di Mestre pubblicata venerdì scorso. Il rapporto si è focalizzato sull’indice di soddisfazione dei lavoratori in Italia, basandosi su un’indagine recentemente condotta dall’Istat, ricca di un set informativo composto da 152 indicatori di benessere e sostenibilità (BES).
La situazione generale non è particolarmente confortante. Nel nostro Paese, più della metà dei lavoratori, cioè il 51,7% del totale, lavora perché deve. Non ha particolare trasporto o appagamento, soffre d’ansia per i rischi e l’incertezza lavorativa. Tra i numerosi criteri guida che hanno indirizzato l’analisi figurano la stabilità occupazionale, l’orario di lavoro, le opportunità di carriera, la distanza tra casa e luogo di lavoro e l’interesse per le mansioni svolte. Per la paura di perdere il lavoro, quindi in negativo, spiccano la Basilicata e la Sicilia. Per la maggior incidenza degli infortuni c’è l’Umbria, dove, in un anno, i decessi o l’inabilità permanente hanno interessato 16,7 lavoratori ogni 10 mila. A ruota, seguono la Basilicata e l’Abruzzo. Su questo, la Lombardia è la più virtuosa.
Il riscatto operaio e impiegatizio vive in alta quota. Le aree geografiche con il maggiore livello di soddisfazione lavorativa sono le province di Aosta, Trento e Bolzano. Il 61,7 per cento dei lavoratori di Aosta, pari a 70 mila persone che abitano le Alpi Graie, dichiara una significativa soddisfazione per il proprio lavoro. Seguono i 161 mila occupati di Trento (Dolomiti), 170 mila a Bolzano (Alpi Retiche), 234 mila in Umbria (Appennino Umbro-Marchigiano) e oltre un milione in Piemonte (Alpi Marittime, Cozie, Graie e Pennine). Con il 57,1% è questa la prima tra le regioni di maggior dimensione. Purtroppo, in tutte le classifiche c’è sempre un fanalino di coda. Stavolta tocca alla Calabria, nella quale solo il 9% del territorio è pianeggiante (c’è l’Appennino Calabro), forse a dimostrare che l’aria di montagna non fa bene a tutti. Almeno, non al pari del ruolo che può essere svolto dalle piccole-medie imprese.
E la produzione industriale flette...
È un calo che va ben oltre le aspettative: -2,4% mensile (-2,7% su base annua). Crescono i prodotti farmaceutici (+16,1%) e i mezzi di trasporto (+9,9%), mentre scendono i beni di consumo (-2,3%) e le forniture di energia (-13,5%). Anche l’indice di fiducia PMI manifatturiero è sceso sotto soglia, a 49,0, sulle preoccupazioni di un possibile ristagno dell’economia. È un livello condiviso con gli altri Paesi europei. Il valore medio UE scende di un punto, a 49,8.
Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB.
I Tori: Italgas +4,78%, Buzzi Unicem +4,58%,
Gli Orsi: Ferrari -19,37, Leonardo -5,20%
FTSE MIB: -2,80% (valore indice: 42.047)
I presenti commenti di mercato rivestono un esclusivo scopo informativo e non intendono costituire una raccomandazione per alcun investimento o strategia d’investimento specifica. Le opinioni espresse non sono da considerare come consiglio d’acquisto, vendita o detenzione di alcun titolo. Le informazioni sono impersonali e non personalizzate.












































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