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Papa Francesco: una voce nel deserto della politica internazionale

di Luca Rolandi|

Jorge Mario Bergoglio non si ferma. Gli acciacchi, l’età che avanza, l’opposizione interna, le difficoltà che trova nella riforma delle strutture ecclesiastiche non lo tormentano e prosegue la sua profetica e controcorrente testimoniando ad intra e ad extra ecclesia. Interventi profondi che non lasciano nulla di intentato. La difesa della vita sempre e comunque anche nel suo periodo di prova e dolore: “la morte va accolta e non deve essere somministrata”. E la denuncia, voce nel deserto di una politica internazionale assente, del dramma dei profughi: milioni di donne, uomini e bambini, che fuggono da fame, violenza, guerre, oppressione e muoiono in mare, sulle strade e nei campi respinti da altri fratelli. Non sono mancate le criticità ecumeniche con un dialogo serrato con la Chiesa ortodossa di Cipro che ha messo subito alla prova Papa Francesco chiedendogli di imitare il suo predecessore Ratzinger che fece da mediatore con Ankara, attraverso la Cancelliera tedesca Angela Merkel, riuscendo ad ottenere la restituzione di 500 frammenti archeologici, di proprietà dei ciprioti, rinvenuti nella parte occupata dal 1974 dai turchi. Ma è sulla tragedia dei rifugiati a Lesbo che Bergoglio ha affondato il suo pensiero con parole chiarissime: “È un’illusione pensare che basti salvaguardare sé stessi, difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più a contatto gli uni con gli altri. Per volgerlo al bene non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro”. E ancora nella visita a Cipro e in Grecia, con la tappa nella terra sofferente dei campi profughi a Lesbo, Papa Francesco prosegue nelle sue parole di profezia: “La storia ci insegna, ma la sua lezione non la impariamo. Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso”. “È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, dei fili spinati. Siamo nell’epoca dei muri, dei fili spinati”, ha detto il Papa. Certo, “si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza”. “È invece unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità – ha aggiunto -, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo”. “È facile trascinare l’opinione pubblica instillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio?”. Così il Papa. “Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica! Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate e grandezza di visione”. “Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei piccoli corpi di bambini stesi inerti sulle spiagge. Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi”. “Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte – ha rilevato -. Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo ‘mare dei ricordi’ si trasformi nel ‘mare della dimenticanza’. Francesco prega e grida “fermiamo questo naufragio di civiltà”. La domanda rimane sempre la stessa, angosciosa: qualcuno lo ascolterà?

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