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La Scabbia, anche le malattie sociali a volte ritornano

di Mariella Fassino

 


Agli inizi degli anni ’80 la Scabbia sembrava sparita, surclassata come molte malattie infettive, dalle emergenti patologie professionali che la florida società delle merci e dei consumi produceva immettendo sul mercato insieme ai nuovi beni anche nuovi allergeni. Il Cromo tra i lavoratori dell’edilizia, la Para-fenilendiamina tra i parrucchieri, gli Additivi della gomma e le Resine tra i lavoratori delle materie plastiche, le Polveri Metalliche tra i metalmeccanici, tutte queste e altre sostanze causarono un aumento di eczemi allergici da contatto nella classe operaia, facendo della dermatologia professionale una specialità in rapida espansione.

Oggi il suo ritorno ha qualcosa di prepotente e allarmante se lo stesso Ministero della Salute, nei mesi scorsi, ha aggiornato le pagine dedicate alla malattia, confermando la tendenza in atto nell’ultimo decennio nel nostro Paese, con una scansioni di frasi inequivocabili: “La scabbia è una malattia della pelle più diffusa di quanto si creda ed è una delle condizioni dermatologiche più comuni”. Tra le cause e fattori dell'incremento, medici e operatori sanitari concordano indicando la maggiore mobilità delle persone, la scarsa consapevolezza della patologia e, non secondario, le condizioni di vita sempre più precarie come mostrano le statistiche.

Non a caso, il diffondersi della malattia ha ricevuto una concreta spinta dal costo dei preparati e alla segnalazione di pazienti resistenti alla terapia. I prodotti a base di permetrina e benzoato di benzile non sono dispensati dal Sistema Sanitario Nazionale e la completa eradicazione dell’acaro può comportare tempi di somministrazione lunghi con l’utilizzo di grandi quantità di prodotto che va applicato su tutta la superficie corporea. I costi della cura si fanno pesanti sia per i singoli che per le comunità, in particolare per le comunità dei migranti con un budget sanitario che viene spesso prosciugato proprio dai costi di queste terapie. Efficace alternativa ai prodotti di uso locale è l’ivermectina orale, un antiparassitario attivo anche nella Scabbia Norvegese, che tuttavia non può essere somministrata ai bambini di peso inferiore ai 15 kg. Anche l’Ivermectina orale non è dispensata dal SSN e ha costi tutt’altro che popolari. Bisogna poi considerare che i destinatari della cura sono spesso persone appartenenti a ceti sociali disagiati, culturalmente ed economicamente, con difficoltà a capire e a mettere in atto le azioni di bonifica e contrasto delle reinfezioni.

La Scabbia è una malattia parassitaria sostenuta dal Sarcoptes scabiei, un acaro appartenente alla classe Arachnidia. La stima dell’Oms è di 400 milioni di persone nel mondo affette dalla patologia, distribuite soprattutto nei paesi tropicali e poveri. Nei paesi ad alto sviluppo la malattia è presente nelle comunità: ospedali, Rsa, scuole materne, nei centri di permanenza per migranti e ovviamente tra i senzatetto e senza fissa dimora, il 58% dei migranti presenti a Lampedusa tra il 2015 e il 2016 era affetto da scabbia. La patologia è di frequente riscontro tra i giovani che viaggiano e soggiornano negli ostelli o che vivono in piccole comunità in Italia o all’estero ed è ovviamente anche una malattia sessualmente trasmessa. Inserita nell’elenco delle Malattie Tropicali neglette, patologie subdole capaci, se non adeguatamente curate, di generare altre patologie difficilmente controllabili. La scabbia delle persone che hanno una normale igiene, che fanno docce frequenti, che hanno cura degli indumenti e della casa, si sviluppa lentamente con segni clinici inizialmente lievi e poco significativi, in questi casi il clinico pone il sospetto a causa del forte prurito notturno e grazie a un’accurata anamnesi. Operatori sanitari e loro congiunti, personale e volontari nei centri per migranti, viaggiatori e studenti all’estero sono pazienti per cui è bene sospettare la patologia qualora presentino prurito notturno sine materia.

La malattia non è peraltro nuovo a ritorni in grande stile. Se agli inizi degli anni’80, si risolveva con una generosa spalmata del buon vecchio “Mitigal”, ripetuta su tutta la superficie cutanea da una medicazione di richiamo dopo 7 giorni, con la bonifica degli indumenti e del materiale lettereccio e la profilassi dei congiunti asintomatici con una sola applicazione del prodotto, operazioni sufficienti a debellare e controllare la diffusione degli acari. Il Mitigal, una lozione contenete una molecola solforata, un po’ puzzolente e lievemente irritante era tuttavia ben tollerato dai pazienti, anche quelli con la scabbia più tenace e complicata. A partire dal 1984-85 tuttavia il prodotto divenne sempre più difficile da reperire sul mercato: la Bayropharm, industria che lo produceva, perse l’interesse per la sua commercializzazione e improvvisamente medici e pazienti si trovarono in difficoltà nel controllo della malattia.

In quegli anni debuttava prima negli Usa e poi in Europa una nuova patologia che nel deprimere il sistema immunitario causava in tutti gli organi, compresa la pelle, ogni tipo di malattia infettiva. L’Aids, comparsa dapprima tra omosessuali e i tossicodipendenti, si diffuse in seguito tra la popolazione generale mutando la prossemica sociale, facendo della vicinanza, del contatto, dello scambio di fluidi corporei altrettante occasioni di evitamenti, preoccupazioni, ossessioni. Tra i pazienti affetti da Aids si moltiplicarono i casi di malattie dermatologiche infettive fino ad allora sopite o ben controllate dai farmaci, i medici disarmati di fronte al nuovo virus, registrarono impotenti l’insorgenza di quadri clinici estremi, mostruosi che portavano all’exitus giovani robusti in piena società del benessere. Le infezioni virali, verruche, condilomi, diventavano ben presto carcinomi cutanei o mucosi incontrollabili, l’herpes simplex e lo zoster cronicizzavano con comparsa di ulcerazioni e vaste perdite di sostanza, le micosi cutanee o mucose, anche quelle sostenute da funghi opportunisti, che nei soggetti immunocompetenti difficilmente causano patologie, si diffondevano dalla cute agli organi interni.

In questa condizione di capitolazione delle difese immunitarie anche la Scabbia tornava a circolare raggiungendo nei pazienti sieropositivi quadri clinici complicati da sovrainfezioni batteriche. Nella mia esperienza di medico consulente dermatologo presso i reparti di malattie infettive dell’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino, la sovrainfezione sostenuta da Pseudomonas Aeruginosa, che tingeva vaste aree di pelle di un verde brillante causato dalla produzione da parte del batterio di un pigmento dal colore acceso, era particolarmente temibile per la difficoltà a controllare e limitare la diffusione del microbo nei reparti. Questi pazienti avevano una forma grave di scabbia, la Scabbia Norvegese, conosciuta dai medici in letteratura, ma poco nota nel corso della loro attività clinica e molto contagiosa.

La Scabbia Norvegese o Scabbia crostosa, caratterizzata da squamo-croste grigiastre su tutta la superficie corporea, è la scabbia degli individui immunodepressi, descritta da Boeck e Danielssen nel 1848 in Norvegia su malati affetti da lebbra. La densità del patogeno nella cute infetta raggiunge 1-2 milioni di acari per paziente, 4000 acari/g di cute. Si trasmette per contatto diretto o mediato dalla biancheria, ma anche attraverso le squame che si staccano dalla superficie cutanea e che possono essere presenti nell’ambiente circostante il paziente. Si tratta dunque di una patologia che espone il personale sanitario a un alto tasso di contagiosità. Tra gli aborigeni australiani la malattia è endemica con il 70% di bambini affetto prima dei 2 anni e un’incidenza di 1,8 casi/1000 abitanti. Ha una mortalità a 5 anni del 50%, legata alla superinfezione della pelle.

Ora, la comunità scientifica si chiede se le numerose segnalazioni di inefficacia delle terapie, anche con Ivermectina, siano da ascrivere a una sopraggiunta resistenza del patogeno ai farmaci o piuttosto siano legate proprio alle difficoltà che questi pazienti trovano nel curarsi e nel bonificare l’ambiente in cui vivono.

L’aumento di questa malattia nel mondo ci racconta purtroppo il malessere e le traversie che molte popolazioni stanno affrontando, la precarietà della qualità di vita, le condizioni igieniche intollerabili, la promiscuità a cui le guerre e le migrazioni forzate spingono uomini, donne, bambini, la marginalità di molte persone che incontriamo agli angoli della strada, l’esposizione a cui sono soggetti i lavoratori che si prendono cura dei nostri anziani e dei nostri malati.

D’altro canto la scabbia è una delle più antiche malattie parassitarie umane in quanto si sono trovate tracce dell’acaro nelle mummie egiziane, anche se la sua natura contagiosa venne dimostrata nella seconda metà del ‘600 da un piccolo gruppo di medici e naturalisti toscani, da Diacinto Cestoni a Francesco Redi e Cosimo Bonomo. La comunità scientifica europea per un paio di secoli ebbe tuttavia difficoltà a fare propria questa scoperta che il Cestoni aveva dimostrato isolando l’acaro al miscroscopio e pubblicando la sua osservazione nel 1687. Sarà nel 1834 che la natura infettiva della malattie potrà essere riconsiderata grazie al giovane studente di medicina Simone Renucci che durante le famose lezioni del  Prof. Alibert all’hopital  S. Louis di Parigi riportò l’osservazione che in Corsica, isola in cui era nato, le persone malate venivano lavate con soluzioni disinfettanti, abitudine a quei tempi consolidata solo in Corsica, Sardegna e Toscana. Il giovane Renucci si prodigò, durante le lezioni, nella ricerca e osservazione al microscopio dell’acaro prelevato dalla pelle dei pazienti, mostrando alla folla dei partecipanti la natura della malattia. Questa scoperta è stata immortalata dalla matita di Jules Meresz in un famoso disegno a carboncino che si trova in molte pubblicazioni che trattano la storia della dermatologia. L’epilogo contenuto in questo breve resoconto storico testimonia che talvolta le giovani menti e alcune tradizioni popolari, possono far luce su realtà che sfuggono al mondo accademico, ma che sono sotto gli occhi di tutti.


 

Bibliografia

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6. K.K. Guldbakke et al. Crusted scabies. J.Drugs Dermatol Mar 2006;5 (3): 221-7

 

 

 

 

 

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