E se cambiassimo angolo d’osservazione su Kabul?
di Mauro Nebiolo Vietti |
Siamo certi che i Talebani impongano se stessi ad un popolo refrattario? Nessuno finora si è chiesto se al contrario essi siano destinatari di un consenso diffuso e, prendendo in considerazione alcuni indicatori, la tesi pare meritoria di essere approfondita.
È vero che l’autodeterminazione rimane l’elemento irrinunciabile per tratteggiare una comunità sociale ed il principio vale anche per gli afghani, ma nelle analisi che ho avuto occasione di leggere sull’avvento dei Talebani pare di cogliere, ancorchè non detti, alcuni valori presupposti che però, applicati al caso afghano, potrebbero non essere affatto tali. Noi tutti riteniamo che l’istruzione sia premessa indispensabile per lo sviluppo e che questo provochi un benessere diffuso sottraendo la popolazione da sacche di ignoranza e superstizione e producendo l’effetto finale di un popolo consapevole che, per quanto possa essere sottoposto a condizioni variabili, non rinnegherà mai i presupposti che hanno avviato un processo iniziato nel secolo diciottesimo.L’Illuminismo, l’avvento della borghesia e la riforma protestante hanno posto le basi per un cambiamento della società ed i valori che essi hanno espresso oggi non sono più nemmeno discussi e sono dati per scontati, rappresentando i presupposti di ogni analisi in qualunque campo sociale, economico e politico essa sia condotta.
La popolazione afgana, composta da circa quaranta milioni, ha consolidato nei secoli valori diversi ed a noi del tutto estranei ed il più significativo è il vincolo tribù/religione. La maggioranza è di etnia pashtun e di formazione religiosa sunnita; si tratta di un collante che pare abbia giocato un ruolo determinante: la stampa occidentale è pressoché unanime nel sostenere che le elezioni presidenziali, con il consenso e l’appoggio degli Stati Uniti, siano state truccate perché le libere votazioni rischiavano di provocare un voto pashtun che avrebbe delegittimato l’aspirante presidente; si tratta di un episodio che, al di là di un discutibile apporto di valori da parte delle armate occidentali, dimostra come i protagonisti fossero convinti di non godere del favore popolare, ma allora occorre domandarsi se i destinatari di tale favore fossero altri. E chi, soprattutto.
Ad analoghe considerazioni si può pervenire osservando il crollo dell’esercito: 300.000 uomini con un armamento di tutto rispetto, contro il quale i Talebani non potevano contrapporre una potenza di fuoco superiore, ma, mentre i secondi combattevano, i primi si sono limitati ad arrendersi. Oggi l’Occidente si consola parlando di corruzione, comandanti incapaci, addestramento insufficiente, etc, ma nulla giustifica un crollo così improvviso e rapido che suggerisce invece un’accoglienza del nemico che a questo punto forse nemico non è e non lo è mai stato. O non lo è del tutto, nell’opzione migliore per l’Occidente.
Oggi possiamo dire che la maggioranza pashtun si è ripresa l’Afganistan e ne è conferma il prossimo conflitto con la zona del Panshir dove l’etnia dominante non è presente ed è ragionevole presumere che tale maggioranza non sarà contraria al regime che sta per insediarsi. Si tratta di un quadro che esclude quella fascia di popolazione (che si è progressivamente ampliata in vent’anni di occupazione) che l’iniziativa del contingente militare di Stati Uniti e Nato ha rilanciato come ceto medio, perché l’applicazione della sharia non ne ammette l’esistenza; purtroppo gli errori delle truppe occupanti ne determinano oggi il sacrificio.
Lo scopo però di questo intervento non è giustificare la sharia o censurare il comportamento e le debolezze della precedente amministrazione, ma soltanto offrire uno spunto di riflessione sul fatto che forse il movimento talebano ha sempre goduto sul territorio di un ampio consenso ed allora, se così è, non è corretto valutare la vicenda afghana filtrandola con i criteri della vita occidentale, anche se rappresenta una buona panacea per la nostra mentalità. Rimane invece fondamentale il fatto che un’enorme forza militare sia riuscita ad assoggettare un paese, ma non abbia minimamente intaccato il consenso di cui ha continuato a godere una forza che rappresenta valori contrari alla nostra civiltà e da cui ci auguriamo di non essere costretti in futuro a difenderci.
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